" un PO a tavola "

" un PO a tavola " Questa PAGINA è un percorso "GASTRONOMICO-FLUVIALE", che mi ha portato dalla sorgente al delta del PO. Di piola in piola, di prelibatezza in prelibatezza!!!

BUONA forchetta & ... coltello !!!!

"BEATINE" di GhemmeLe Beatine di Gemme (No), sostanzialmente, sono dei biscotti di pasta frolla friabile e delicata con ...
26/01/2025

"BEATINE" di Ghemme

Le Beatine di Gemme (No), sostanzialmente, sono dei biscotti di pasta frolla friabile e delicata con intenso sapore di b***o. Questi biscotti raffigurano una martire con le mani giunte in preghiera, oppure in posizione distesa con tre fusi in testa, simbolo del martirio. La Beata Panacea infatti fu uccisa dalla matrigna, che la sorprese a pregare invece che a lavorare, e il delitto avvenne usando il fuso che Panacea usava per filare. A volte è anche aggiunto un decoro di codetta zuccherina colorata in rosso, a simboleggiare il sangue sgorgato.

Panacea nacque a Quarona, a circa 30 km da Ghemme, nel 1368, da Lorenzo de Muzi e Maria Gambino, originaria di Ghemme. La morte prematura della madre indusse Lorenzo a risposarsi con Margherita, nativa di Locarno Sesia.
In seguito al matrimonio, Panacea, da sempre dedita alle buone azioni e alla preghiera, iniziò a subire continui maltrattamenti da parte della matrigna.
Questa la faceva lavorare senza sosta, facendole custodire il gregge sui monti, filare la lana e raccogliere la legna. La tradizione vuole che, mentre Panacea era intenta alla preghiera, fossero gli angeli a lavorare al posto suo.

Una sera del 1383 la matrigna, non vedendola arrivare insieme al gregge, che da solo era tornato all'ovile, si recò a cercarla sul monte Tucri, trovandola in preghiera. Furibonda, la colpì violentemente e ripetutamente con la rocca che usava per filare, uccidendola sul colpo. Resasi conto di quel che aveva fatto, la donna si gettò in un vicino b***one.
Le campane della vicina chiesa di S. Giovanni si misero a suonare attirando la popolazione di Quarona che vide il corpo di Panacea accanto al fascio di legna che ardeva senza consumarsi.

La tradizione vuole che solo con l'arrivo del Vescovo di Novara si poté sollevare il corpo e porlo su un carro portandolo verso il paese. Giunto in un campo, il proprietario non volle che vi fosse seppellito, e i vitelli, da soli, condussero Panacea fino a Ghemme, fermandosi vicino alla chiesa parrocchiale di S. Maria dove era stata sepolta la madre, il primo venerdì di maggio del 1383.

L’origine delle Beatine di Ghemme risale all’Ottocento, quando veniva venduto sulle bancarelle in occasione della fiera della Beata, nei giorni della sua festa, dal primo venerdì di maggio fino alla domenica seguente. Secondo tradizione, i pellegrini giunti a Ghemme acquistavano i biscotti e poi si recavano in chiesa. Qui si svolgeva il rito di benedizione, che consisteva nel calare il sacchetto con i dolci all’interno del sepolcro della Beata, al centro della chiesa, dove era sepolto il corpo di Panacea fino alla costruzione dell’attuale chiesa parrocchiale. L’operazione era affidata ad alcuni addetti che in cambio ricevevano un’elemosina.

I dolci così benedetti erano portati a casa e mangiati dai familiari e offerti a coloro che non erano potuti ve**re a Ghemme. Si spiega così la forte carica emozionale e rappresentativa con i fusi conficcati in testa e il sangue che sgorga.
La presenza degli “offellari”, o venditori di dolciumi, è documentata a Ghemme almeno dal 1600, e testimonia l’ininterrotta partecipazione delle popolazioni novaresi e valsesiane alla festa di Ghemme.

Ingredienti
150 g di mandorle
150 g di zucchero a velo
1 uovo intero
150 g di b***o di alta qualità
250 g di farina
1 buccia di limone
sale q.b.

Preparazione
Il primo passo nella preparazione delle nostre Beatine di Ghemme parte dalla mandorle, che per questa ricetta si consigliano sbucciate: per prima cosa, pestiamole, passiamole nel frullatore per qualche seconde e, dopo aver versato il composto ottenuto in una plafoniera, uniamo poco alla volta lo zucchero e l’uovo intero, mescolando lentamente con una spatola.

Bene: a questo punto, versiamo la farina bianca setacciata sul tavolo, formando una conca in cui verseremo il composto appena preparato, il b***o precedentemente ammorbidito, il sale e la buccia di limone grattugiata. Lavoriamo a mano il tutto, fino ad ottenere un impasto consistente e dall’aspetto omogeneo. Rivestiamo il panetto ottenuto con un velo di carta velina e lasciamo a riposare il tutto per un’oretta circa in frigorifero.

Perfetto, siamo pronti per “intagliare” le nostre Beatine di Ghemme e a metterle in forno! Possiamo aiutarci disegnando l’immagine della beata su un foglio (alta quanto desideriamo lo siano i biscotti), così da basarci sulla figura, dopo aver “tirato la pasta”, per intagliare con il coltello la forma dei nostri biscotti. Fatto questo, posiamo le Beatine di Ghemme su una placca imburrata ed infarinata, spennelliamo con un uovo e cuociamo il tutto per cinque minuti in forno preriscaldato a 190°, fino a quando non assumeranno la tipica colorazione dorata.

Le Beatine di Ghemme sono perfette da mangiare così come sono, grazie al sapore dolce intenso e al penetrante profumo di b***o e vaniglia, oppure accompagnate da un the leggero per una perfetto inizio di giornata.

"GALAVERNA sul PO" ❄️
25/01/2025

"GALAVERNA sul PO" ❄️

"Il Vermouth di Torino… a Torino" 🥃 appuntamento il 24 gennaioPrenderà il via venerdì 24 gennaio, nella sede torinese de...
24/01/2025

"Il Vermouth di Torino… a Torino" 🥃
appuntamento il 24 gennaio

Prenderà il via venerdì 24 gennaio, nella sede torinese dell'Associazione Italiana Sommelier Piemonte, in via Modena 23, “Il Vermouth di Torino… a Torino”, una giornata pensata dall’omonimo Consorzio e interamente dedicata a celebrare questo prodotto che si fregia del marchio di qualità europeo IGP.

Dalle 10:30, con l’inaugurazione ufficiale dei banchi d’assaggio nella Sala Barolo, fino alle 20:00, i visitatori avranno l’opportunità di degustare una selezione di Vermouth di Torino, incontrando di persona i produttori e scoprendo questo mondo attraverso banchi di degustazione, talk, tavole rotonde tematiche e presentazioni di libri.

Alle 11.30, nella Sala Barbaresco, avrà luogo la conferenza stampa, un momento chiave per conoscere le caratteristiche dell'evento e le novità del Consorzio. Il Presidente Roberto Bava darà il benvenuto, seguito dal Direttore Pierstefano Berta, che offrirà un’analisi approfondita sulla produzione attuale, i mercati e i dati aggiornati. Tra i temi trattati: la certificazione del marchio, i successi del 2024 e le iniziative previste per il 2025. La conferenza si concluderà con un breve seminario e una degustazione guidata, in cui i partecipanti potranno approfondire le tipologie e la storia del Vermouth di Torino.

Nel pomeriggio, alle 14:00, inizierà una tavola rotonda dedicata al turismo del Vermouth di Torino, tema che riscuote sempre più interesse, offrendo nuove opportunità per il territorio. Gli interventi di esperti, fra cui Emanuela Panke, presidente Federazione Europea Iter Vitis (Itinerario Culturale del Consiglio d’Europa), Marcella Gaspardone, direttore Turismo Torino, Mariangela Chiapperini, Turismo Torino, spazieranno dalle esperienze europee delle strade del vino fino al progetto di una Strada del Vermouth in Piemonte, passando per le considerazioni sull’impatto turistico di questo prodotto a Torino.

Alle 16:00, l’area “Le Parole del Vermouth” offrirà un’atmosfera intima per approfondire la storia e la cultura visiva legata al Vermouth. Giusi Mainardi guiderà un viaggio nel tempo dai liquoristi del Settecento fino al Vermouth moderno, mentre Valerio Bigano esplorerà l’evoluzione della grafica, dal passato al nuovo millennio.

La giornata proseguirà alle 17:00 con un’altra tavola rotonda che metterà in luce le botaniche piemontesi, il loro ruolo nella tradizione e le prospettive per il futuro. Produttori storici e nuove realtà si confronteranno su come valorizzare questo elemento distintivo.

Infine, alle 18:00, si discuterà di abbinamenti alternativi del Vermouth, con intervento di sommelier, chef e barman, dimostrando come questo prodotto possa andare oltre il cocktail, trovando nuove interazioni gastronomiche.

«A pochi anni dalla nascita del Consorzio e dalla rinascita della denominazione attraverso l’attribuzione della IGP, il nostro Vermouth di Torino ha favorito la diffusione di un nuovo “turismo del vermouth” che passa dai locali storici e finisce irrimediabilmente in cantina ed in giro per la regione - commenta Roberto Bava, presidente del Consorzio del Vermouth di Torino -. Le nuove produzioni hanno raddoppiato le etichette tradizionali già disponibili, offrendo oggi una gamma molto più ricca; persino in agricoltura c’è fermento per nuove coltivazioni di botaniche per le ricette. Chi parteciperà alla nostra giornata torinese avrà modo di rendersene conto e contiamo sul fatto che ne diventi un appassionato intenditore e ambasciatore».

Con il biglietto di ingresso, dal costo di 15 euro, sarà possibile accedere alle degustazioni e iscriversi direttamente in loco ai talk previsti, fino a esaurimento posti.

https://www.vermouthditorino.org/?fbclid=IwY2xjawIAK7pleHRuA2FlbQIxMAABHRDVnGGkeOm2MwvKknAyOZUOOUejqTpKe_h5B2rQ_PsDk2XnZvpKGXJN6A_aem_BPck-3EQ-1AKUKdMYWyT2w

Il "PANE di SAN GAUDENZIO",dolce tipico della Città di Novara. 🍞😋La celebrazione di San Gaudenzio, primo arcivescovo di ...
22/01/2025

Il "PANE di SAN GAUDENZIO",
dolce tipico della Città di Novara. 🍞😋

La celebrazione di San Gaudenzio, primo arcivescovo di Novara, avviene il 22 gennaio, giorno in cui la piccola cittadina si ferma, scuole e negozi vengono chiusi ma la nota basilica di San Gaudenzio è aperta per la messa.

Un vero e proprio giorno di festa dove la gente del paese trascorre passeggiando tra le bancarelle dei mercatini che offrono frittelle calde, castagne arrostite e il tipico “pan di San Gaudenzio” che viene preparato dai forni locali nei giorni precedenti al 22 gennaio.

Nato a cavallo tra le due Guerre sono ancora molti i misteri legati alla sua origine, ma la certezza è che questo squisito dolce invernale, insieme ai Biscottini di Novara, fa ormai parte della tradizione.

Alcune fonti dicono sia l'invenzione di un pasticciere di nome Gudenzio Zanola, che da un paese nei dintorni di Novara (Romagnano) trasferì la sua pasticceria in Città.

Così il "Dolce del pasticcere Gudenzio" diventò all'inizio degli anni '50 il "Pane di San Gaudenzio" in onore del patrono di Novara, ma le sue origini sono più antiche.

Il pane, infatti, veniva già prodotto nel 1200 quando la prima domenica di Pasqua i canonici della cattedrale e della basilica di San Gaudenzio erano soliti distribuire ai poveri un altro pane tipico, il “Pane di Polla”, a base di frumento.

Quando Napoleone, nell’Ottocento, chiuse i conventi, le suore che prima vivevano in essi trovarono ospitalità presso le case delle famiglie benestanti e così fecero conoscere la ricetta dei Biscottini di Novara, altro prodotto rinomato della città.

Il pane e i biscotti fecero coppia fissa e chissà se quel pane casereccio della Pasqua non abbia dato l’ispirazione per il dolce tipico della festa patronale di San Gaudenzio.

Il Pane di San Gaudenzio è delizioso scrigno di pasta frolla che racchiude un morbido impasto di pan di spagna, arricchito con uvetta, che ricorda il panettone. La superficie viene solitamente cosparsa da granella di pinoli o di nocciole e zucchero a velo e può avere una forma rettangolare come il plumcake o rotonda appunto come il panettone.

Certo è che negli anni '50 non ci si preoccupava di depositare nomi o brevettare ricette, e come ogni piatto della tradizione, nel tempo fu soggetto a diverse modifiche, tanto che oggi ogni pasticceria di Novara ha la sua esclusiva ricetta.

Ingredienti

Per la frolla:
200 g Farina 00
120 g B***o morbido
60 g Zucchero semolato
1 Tuorlo d’uovo
buccia di limone
1 pizzico Sale

Per il ripieno:
130 g Farina 00
130 g Zucchero semolato
85 g Uvetta sultanina
75 g B***o fuso
4 Uova
1 cucchiaino Succo limone
1/2 bacca di Vaniglia i semi
1 manciata di nocciole tritate grossolanamente

Preparate la frolla:
fate una fontana con la farina, aggiungete lo zucchero e il pizzico di sale.
Nel centro spezzettate il b***o, unite il tuorlo e la buccia di limone.
Amalgamate tutto molto velocemente, lavorando la pasta con le mani.
Quando l’impasto sarà liscio ed omogeneo, formate una palla e mettete a riposare in frigorifero per mezz’ora.

Nel frattempo preparate il ripieno:
Sbattete i tuorli con lo zucchero.
A parte montate gli albumi a neve ferma, aggiungendo un cucchiaino di succo di limone.
Unite i tuorli sbattuti agli albumi, con movimenti lenti dal basso verso l’alto senza smontare l'impasto.
Aggiungete la farina setacciata, l’uvetta e per ultimi il b***o fuso e i semi della bacca di vaniglia.

Preparate il dolce:
Togliete la frolla dal frigo e stendetela dello spessore di circa 3/4 mm.
Imburrate ed infarinate uno stampo da plumcake e foderatelo con la frolla.
Riempite con l’impasto del panettone fino a circa 2/3 e cospargete la superficie con le nocciole.
Spolverizzate con zucchero a velo e cuocete in forno a 190° C per 45 minuti circa.
Lasciate raffreddare, sformate delicatamente il dolce e prima di servire spolverate con zucchero a velo.

Auguri !!!

Il "TRAMEZZINO", dall’America a Torino.La paternità del tramezzino si deve ad Angela Demichelis e al marito Onorino Nebi...
21/01/2025

Il "TRAMEZZINO",
dall’America a Torino.

La paternità del tramezzino si deve ad Angela Demichelis e al marito Onorino Nebiolo, di origine torinese e di ritorno dall’America. I due decisero di acquistare il Caffè Mulassano di Piazza Castello a Torino nel 1925, a quel tempo in vendita, introducendo al suo interno il piatto in versione italiana del suo parente inglese, il piccolo tea sandwich fatto per essere consumato in un paio di bocconi all'ora del tè.

Nel luglio 1936, il giornale La Cucina Italiana scrive la prima ricetta ufficiale del tramezzino.
Anche a Venezia inizia ad assumere una tale importanza da diffondersi in tutti i bar più chic del centro con il nome dialettale “el tramesin”, diventando protagonista negli aperitivi mattutini e pomeridiani.

Il tramezzino è composto da pane morbido al latte senza crosta a forma triangolare, farcito abbondantemente nel centro. La vera peculiarità di questa specialità italiana è data dall’umidità del pane, che gli viene conferita dalla presenza della maionese e a Venezia anche dal clima umido della città. Ciò rende il pane particolarmente morbido.

Il tramezzino b***o e acciughe fu il primo di una lunga serie e di oltre 40 tipi proposti ogni giorno, dal richiestissimo all’aragosta a quello al tartufo, o con il vitello tonnato o con la tipica bagna cauda piemontese, tutti perfetti, ancora oggi, per accompagnare un bicchiere di vermouth o perfino per un'originale colazione.

Il termine tramezzino fu coniato da Gabriele D'Annunzio, che lo creò per sostituire la parola inglese sandwich. Si tratta del diminutivo di tramezzo, inteso come momento a metà strada tra la colazione e il pranzo, nel quale consumare uno spuntino o merenda quale il tramezzino.

"San Carlino"la crema spalmabile Biellese da 2000 anniNella zona di Biella per l'aperitivo viene spesso servita una ciot...
20/01/2025

"San Carlino"
la crema spalmabile Biellese da 2000 anni

Nella zona di Biella per l'aperitivo viene spesso servita una ciotolina con il San Carlino condito.
Il San Carlino non è altro che una crema spalmabile composta da formaggi freschi locali, condita con diversi ingredienti, tra cui il principale, presente in tutte le versioni, è l'aglio. Viene accompagnato tradizionalmente da pane casereccio o gli immancabili grissini torinesi.

Nel biellese è una vera istituzione e viene servito come aperitivo, antipasto o durante le merende sinoire, che altro non sono che un momento di ritrovo conviviale dove si condividono taglieri di formaggi e salumi e altri antipasti tipici piemontesi come i tomini elettrici, la giardiniera o il vitello tonnato.
La differenza in questo piatto la fa davvero la scelta dei formaggi che devono essere freschissimi e locali.

Ingredienti :
•1 confezione di tomini freschi
robiola o mascherpa (ricotta biellese)
•2 o 3 spicchi d'aglio
•olio extravergine di oliva
•sale qb
•panna (opzionale)
•aceto di vino bianco (opzionale)
•pepe qb (opzionale)

Procedimento:
Per prima cosa in una ciotola capiente unite i tomini freschi e la robiola o mascherpa. Con una forchetta prima e un cucchiaio poi, lavorate bene i formaggi fino a creare una crema omogenea. Se volete avere un effetto più vellutato aggiungete anche un goccio di panna liquida fresca.
Frullate l'aglio, utilizzando la quantità in base al vostro gradimento e aggiungetelo alla crema di formaggio.
Aggiustate con un pizzico di sale, un filo d'olio a crudo. Mescolate ancora fino a ottenere una crema liscia, ma compatta. Io che metto pochissimo aglio, ci aggiungo anche un goccio di aceto di vino e un po' di pepe.
Servite il San Carlino freddo accompagnandolo con grissini o crostini di pane.

Se volete osare rispetto alla presentazione originale potete aggiungere anche un pizzico di pepe, di paprika dolce o di peperoncino per un sapore più piccante. C'è chi aggiunge anche le erbe aromatiche tritate finemente come l'erba cipollina.

le "CALHETTE" 😋😋😋E' un piatto antichissimo della cucina delle Valli Germanasca e Chisone (To) e varia nella sua composiz...
19/01/2025

le "CALHETTE" 😋😋😋

E' un piatto antichissimo della cucina delle Valli Germanasca e Chisone (To) e varia nella sua composizione da famiglia a famiglia. È da sempre preparato con ingredienti poveri: patate, cipolle e lardo. In alcune versioni si utilizzano le uova o resti di salame e prosciutto o anche carne tritata. In altre veniva utilizzata la farina di grano saraceno (granét).

Curiosità:
il nome deriva dalla forma che si da agli gnocchi, che ricorda il fuso che veniva utilizzato per filare la lana. Oltre che con b***o e salvia le calhëtte possono essere condite con sugo di selvaggina, funghi o erbe.

Ricetta di Prali:
patate di Prali (gialle) 6
lardo o pancetta affumicata 100 grammi, tagliato a cubetti
uovo codice 0 1
farina 0 integrale
grissini spezzati
cannella
sale, pepe
per il condimento:
b***o
salvia
noce moscata

Grattugiare le patate crude con una grattugia a fori molto grossi; mettere in uno scolapasta e fare gocciolare tutta l’acqua; se necessario, spremere ancora usando un canovaccio. Rosolare in una padella del lardo a cubetti, con cipolla; unire alle patate con l’uovo leggermente sbattuto, i grissini sbriciolati e legare il tutto con della farina fino ad ottenere una giusta consistenza. Aggiungere sale, pepe e un bel pizzico di cannella; preparare delle palline poco più grosse di un uovo di gallina, fino ad esaurire l’impasto; far bollire in abbondante acqua per almeno un’ora, fino a completa cottura.

Una volta cotte scolare bene, far fondere il b***o in una padella capiente, aromatizzare con la salvia. Condire le calhette e servire subito, con un calice di Ramìe.

"CAVOLFIORE alla CAVOUR" 😋“Cattura più amici la mensa che la mente“, si dice abbia detto il conte di Cavour e, pare, nei...
18/01/2025

"CAVOLFIORE alla CAVOUR" 😋

“Cattura più amici la mensa che la mente“, si dice abbia detto il conte di Cavour e, pare, nei bagagli dei suoi diplomatici, ci fosse sempre una bottiglia del Barolo che lui stesso, sotto l’attenta guida dell’enologo francese Louis Oudart, come “arma segreta” per vincere le trattative più ostiche. Quanto l’ultimo aneddoto, raccontato dalle cronache dell’epoca, sia effettivamente vero, ahimè, è difficile dirlo: sicuramente, però, Camillo Benso conte di Cavour fu un uomo appassionato del buon vino e della buona cucina. “Nostro figlio è un ben curioso tipo. Anzitutto ha così onorato la mensa: grossa scodella di zuppa, due belle cotolette, un piatto di lesso, un beccaccino, riso, patate, fagiolini, uva e caffè. Non c’è stato modo di fargli mangiar altro! Dopodiché mi ha recitato parecchi canti di Dante, le canzoni del Petrarca… e tutto questo passeggiando a grandi passi in vestaglia con le mani affondate nelle tasche“, scrisse il padre, il marchese Michele Benso di Cavour, in una lettera alla moglie.

Una passione, quella gastronomica, che lo accompagnerà per tutta la vita. Proprio dal suo interesse per la cucina contadina, e per la precisione della cucina contadina della sua regione, il Piemonte, discende l’inconfondibile impronta delle ricette “alla Cavour”, e sappiamo che lo stesso conte contribuì, in parlamento, con specifiche leggi a favore della risicoltura e della viticoltura. Per comprendere l’influenza di questa personalità italiana sulle vicende gastronomiche della nostra regione basti pensare che, all’interno de “Il Gastronomo moderno” di Borgarello, edito nel 1904, sono riportati diversi piatti così chiamati “alla Cavour”: tra questi, un potage, una crema di riso al brodo con tuorlo, una tête de veau, un cappone, un gelato al limone, ed un pudding di riso.

Il piatto di cui vogliamo parlare oggi è però il “cavolfiore alla Cavour”, un piatto che, davvero, non potrà che catturare la vostra attenzione: qui sotto la ricetta.

Ingredienti
1 cespo di cavolfiore
2 uova (sode)
2 acciughe sott’olio
1 cucchiaio di prezzemolo tritato
80 g di b***o, possibilmente di montagna
60 g di Grana Padano grattugiato
succo di limone q.b.
sale q.b
Pepe q.b.

Preparazione
Il primo passo nella preparazione del nostro “cavolfiore alla Cavour” parte dalla pulizia del nostro ingrediente principale. Facciamo attenzione, nella scelta dal verduriere, di prediligere i cavolfiori sodi, bianchi e senza macchie sulle cimette: sono quelli più freschi e saporiti! Il primo passo parte dalla mondatura del cavolfiore. Disposto di lato su di un tagliere, eliminiamo con un coltello dalla lama larga il gambo esterno e le foglie. Dopodiché dividiamo le cimette, staccandole dal gambo una ad una; se alcune di queste fossero particolarmente grosse, dividiamole ulteriormente. Una volta terminata questa semplice operazione, laviamo la nostra verdura sotto un getto d’acqua fredda ed asciughiamola poi con un canovaccio pulito.

Fatto ciò, lessiamo le cimette in una pentola d’acqua poco salata, per una decina di minuti circa: dovranno risultare tenere, ma non troppo! Noi, nel frattempo, ci occuperemo del b***o; facciamolo sciogliere a fuoco dolce in un tegame, facendo però attenzione a non friggerlo, e passiamoci dopo le cimette appena sobbollite. Dopo averlo “bagnato” nel b***o, disponiamo il cavolfiore lavorato in una pirofila leggermente imburrata e, dopo averci sparso sopra il Grana Padano grattugiato, mettiamo il tutto in forno preriscaldato a 200°, statico, per 5-7 minuti.

Nel mentre della cottura, noi ci dedicheremo alla preparazione degli altri ingredienti: dopo aver sgusciato e tritato le uova sode, tritiamole e versiamole in una ciotola assieme alle acciughe ed al prezzemolo precedentemente sminuzzato. Versiamoci poi il b***o precedentemente fuso (quello utilizzato per bagnare le cimette di cavolfiore) e qualche goccia di succo di limone, a seconda di quanto gradiate il sapore acidulo del frutto. Bene, dopo aver salato e pepato a piacere, il nostro piatto e pronto!

Serviamo il “cavolfiore alla Cavour” condito con la nostra salsa d’uova ed acciughe e mangiamolo ben caldo; buon appetito!

la "PRUSTINENCA"Antico piatto di Prarostino (To)Nelle vallate valdesi-occitane, a Prarostino e dintorni, quando due giov...
17/01/2025

la "PRUSTINENCA"
Antico piatto di Prarostino (To)

Nelle vallate valdesi-occitane, a Prarostino e dintorni, quando due giovani decidevano di sposarsi, era usanza tra le famiglie di parenti regalare agli sposini capretti e agnelli, le cui carni erano in genere vendute per poter acquistare piccole suppellettili e arredi per la casa nuova, mentre le interiora (fegato, polmone, rognone, milza, animelle ecc.), venivano conservate per la preparazione della "PRUSTINENCA" nel banchetto nuziale.

Ingredienti: fegato, polmone, rognone, animelle, milza di agnello o capretto vino rosso in abbondanza cipolla, sedano, carote e aglio chiodi di garofano, noce moscata, macis e cannella b***o sale e pepe

Tagliate tutte le frattaglie a cubetti, rosolatele con poco b***o, aggiungetevi le verdure e gli odori, continuate a rosolare, e infine bagnate con il vino rosso fino a ricoprire la carne.
Fate cuocere a fuoco allegro, aggiustate di sale e pepe, e, se necessario, bagnate con un poco di brodo di vitello. A fine cottura, legate leggermente con un fiocco di b***o e servite con patate di montagna o crostoni di polenta.

il "CARITUN" di S. Antonio (abate)Si narra che nella notte tra il 16 e il 17 gennaio gli animali acquistino la parola:il...
16/01/2025

il "CARITUN" di S. Antonio (abate)

Si narra che nella notte tra il 16 e il 17 gennaio
gli animali acquistino la parola:
il 17 gennaio, ricorrenza del Santo loro protettore, le bestie non potevano essere macellate, venivano trattate amorevolmente, ben nutrite ed esentate dal lavoro. Secondo la tradizione, il giorno di S.Antonio era ed è ancora oggi usanza, nel corso della messa per gli animali, benedire anche i “caritun”, caratteristici tagli di pane a forma di croce realizzati per l’occasione, che un tempo – e forse ancora oggi – una volta benedetti e distribuiti, venivano fatti seccare e poi somministrati (in parti davvero minime) agli animali sofferenti misti a radici di genziana oppure a castagne d’India.
Avevano il “potere” di strappare l’animale alla morte e di farlo guarire.
Una tradizione che pone questa originale festa, oltre alla benedizione degli animali, in relazione con le finalità di aiuto ai poveri. Infatti, nei tempi andati era usuale nella giornata dedicata a Sant’Antonio Abate offrire ai poveri un po’ di pane. Un gesto di ca**tà che nel corso degli anni ha fatto assumere al pane donato il nome di Caritun.
Ancora oggi l'usanza del Caritun si rinnova a Villafranca, Vigone, Scalenghe, Macello, Cercenasco, Cavour, Campiglione, Abbadia Alpina, Pinerolo, Cantalupa, Rifreddo, Calcinere di Paesana e Rocchetta di Sanfront.

il "RAVIOLO di GAVI" - AlessandriaLa battaglia della pasta ripiena ha sempre acceso grandi scontri gastronomici in Piemo...
15/01/2025

il "RAVIOLO di GAVI" - Alessandria

La battaglia della pasta ripiena ha sempre acceso grandi scontri gastronomici in Piemonte. Agnolotti, plin, raviole e ravioli sono al centro della cultura gastronomica regionale. E proprio lì, in un territorio di confine, sorge Gavi, il comune noto per lo storico forte, per il vino e per il raviolo di Gavi. Un’eccellenza celebrata da sagre, ristoranti e, curiosamente, anche da un ordine di cavalieri devoti alla nobile causa.

Gavi e la cucina di confine. Ecco cosa si mangia
Per arrivare al celebre raviolo di Gavi è necessario fare un passo indietro nella storia e nella geografia del territorio, fattori che hanno contribuito alla nascita di questo prodotto. Il comune di Gavi ha visto susseguirsi dominazioni romane, arabe e liguri. Ognuna di esse, insieme alla componente geografica che lo rende un luogo di confine, ha contribuito a dar vita a un patrimonio culturale e gastronomico unico nel suo genere.

Basti pensare al Cortese, il vino oggetto di scambi e doni dal Medioevo sino a oggi. Gavi è il risultato di tutte queste contaminazioni che spaziano dalle farinate e dai corzetti liguri sino ai ravioli e alla lavorazione del cioccolato più vicini al Piemonte. Nel raviolo è possibile vedere la perfetta congiunzione tra queste due correnti gastronomiche con ingredienti e lavorazioni che si combinano per creare il prodotto emblema della zona.

Il raviolo di Gavi: cos’è e come si prepara
Ebbene sì, pare che i primi ravioli della storia nacquero proprio a Gavi, secondo fonti non accertate (la storia del raviolo è, infatti, molto complessa). Lo narrano le vicende della famiglia Raviolo, proprietaria di una locanda in paese e che era solita preparare questa pietanza per i mercanti che qui passavano percorrendo le vie del sale, le antiche rotte di commercio. Stanchi dalle fatiche del viaggio, trovavano una calda accoglienza con una pasta ripiena di formaggio di capra ed erbe aromatiche cotta in un ricco brodo.

I ravioli di Gavi e tre condimenti differenti
I primi ravioli accreditati della storia sono diversi da quelli che oggi sono conosciuti come ravioli di Gavi, ma furono i precursori della pasta ripiena per antonomasia italiana. Il ripieno odierno si prepara con carni bovine e suine, uova, formaggio, borragine e scarola. Quello che varia è il condimento, che la tradizione suggerisce in tre versioni: al “tocco”, per rimarcare la vicinanza con la Liguria, quindi il classico sugo a base di carne, con il vino e a “culo nudo”. Quest’ultima variante prevede che vengano solamente scolati e serviti con una spolverata di formaggio grattugiato.

L’Ordine Obertengo dei Cavalieri del Raviolo e del Gavi
Era il 1973 quando G. Carletto Bergaglio crea un’accademia gastronomica gaviese. Una delle tante che vanno ad aggiungersi alla lunga lista forse, ma questa, in poco tempo, si trasforma in qualcosa di più. Dopo alcuni mesi, i 24 soci fondatori si ritrovano a firmare davanti a un notaio l’atto di costituzione dell’Ordine dei Cavalieri del Raviolo e del Cortese di Gavi. Lo scopo principale di quest’associazione è sempre stato quello di divulgare la conoscenza di questi due prodotti emblema del territorio. L’Ordine si considera come un proseguo di quello che fu il Marchesato di Gavi che governò dal 1070 al 1202, periodo durante il quale sarebbe nato il raviolo.

La ricetta originale dei ravioli è segreta
Come da tradizione, ci sono due momenti principali durante l’anno in cui l’Ordine si riunisce: quello della glorificazione dei ravioli durante la festa della Madonna del Rosario e quello della nomina dei nuovi Cavalieri. Un momento molto suggestivo durante il quale viene riportato alla luce l’antico rituale di intronizzazione dei vassalli e valvassori. Nel 2000 alla denominazione viene aggiunta la denominazione Obertenga, a voler maggiormente sottolineare la lealtà verso il territorio. Pare che loro detengano la sola e unica ricetta originale e, in quanto custodi di una tradizione centenaria, abbiano deciso di portare i ravioli di Gavi nel mondo. È così che oggi si annoverano gemellaggi con i ravioli di New York e di Nanchino ed è anche grazie a loro che la tradizione non andrà perduta.

"PAN, VIN & SÜCHER"Negli anni ’60, quando i bambini a merenda mangiavano… il vinoIniziamo subito a dire che era già un p...
14/01/2025

"PAN, VIN & SÜCHER"
Negli anni ’60,
quando i bambini a merenda
mangiavano… il vino

Iniziamo subito a dire che era già un privilegiato quel bambino al quale la mamma diceva: “Che vuoi col pane?”. Ciò voleva dire che l’offerta di ingredienti non mancava.
Spesso la merenda era a base di pane, zucchero e vino. Il pane raffermo inzuppato di vino rosso e zucchero semolato era anche dal punto di vista cromatico una merenda che i bambini aspettavano con trepidazione.

In alcuni casi il vino veniva fatto bollire per far evaporare l’alcol, in altri casi si usava il vino novo o il vino novello ma sempre predominava la convinzione comune che il “vino facesse buon sangue” ed avesse effetti ricostituenti. Ricordo di averlo bevuto poche volte ma mai a casa mia, bensì a casa di altri, preparato da altre mamme o da altre nonne.
Anche se non mi piaceva un granchè avevo la sensazione della trasgressione (stavo bevendo il vino, una roba da grandi) e forse per questo motivo la mia fetta di pane di colore rosso granata la ricordo con grande piacere.

"SOUPA GRASA"Sulle montagne OCCITANE, dal connubio di pane di segale, toma e cipolla...                                 ...
13/01/2025

"SOUPA GRASA"

Sulle montagne OCCITANE,
dal connubio di pane di segale, toma e cipolla...
nasce la gustosa Soupa Grasa.

Questa invitante minestra, tipica dell'alta valle di Susa, è uno strappo alla regola che ogni tanto ci si può concedere, per regalarsi un momento di singolare piacere, oltre ad un nostalgico tuffo nel passato, ricordando le nostre nonne che erano solite prepararla soprattutto nei periodi di ristrettezze economiche.

​Si tratta infatti di un piatto povero della tradizione contadina, che si caratterizza per ingredienti semplici e facili da reperire. A Parigi, dove la maggiore quantità di cipolle utilizzate nella sua preparazione rispetto alla versione nostrana la trasforma nella "soupe à l'oignon", si narra che i nottambuli del quartiere mercatale di Les Halles andassero a mangiarla nei bistrot aperti tutta la notte.

La soupe grasse è la soluzione ideale per "riciclare" del pane raffermo: abitualmente questo viene tostato in forno e ridotto a tocchetti grossolani, anche se alcuni trasformano la ricetta polverizzando il pane tostato nel mixer, scelta che all'aspetto la rende meno "rustica" e particolare.

Ingredienti:
Toma (200 gr),
pane di segale raffermo (150 gr),
b***o di montagna (70 gr),
tre quarti di litro di brodo di carne,
una cipolla, tre bacche di ginepro, noce moscata, sale, pepe.

Spezzetta in una casseruola il pane raffermo, aggiungi il brodo e un quarto di litro di acqua. Metti su fuoco lento. In un altro pentolino metti le bacche di ginepro pestate e la cipolla tagliata finemente con 50gr di b***o a rosolare.

Se serve aggiungi acqua, insaporisci con sale, pepe e noce moscata. Incorpora al pane il formaggio tagliato a pezzetti e il b***o che avanza, lasciando cuocere per 25 minuti. Mescola spesso con un cucchiaio di legno, aggiungi il soffritto e controlla il sale. Servila ben calda!!! 😋

Indirizzo

Pinerolo
10064

Telefono

+393470613849

Sito Web

Notifiche

Lasciando la tua email puoi essere il primo a sapere quando " un PO a tavola " pubblica notizie e promozioni. Il tuo indirizzo email non verrà utilizzato per nessun altro scopo e potrai annullare l'iscrizione in qualsiasi momento.

Contatta L'azienda

Invia un messaggio a " un PO a tavola ":

Condividi