08/11/2024
Quando una persona ha sofferto, soprattutto in modo intenso e prolungato, spesso si rende conto che la sofferenza non è qualcosa che si possa evitare o "vincere" in modo netto.
Si diventa più consapevoli della vulnerabilità umana, propria e altrui. E questa consapevolezza può portare a una gentilezza più profonda: non una gentilezza superficiale, ma una gentilezza radicata nella comprensione che anche gli altri soffrono, che nessuno è immune dalle difficoltà della vita.
Il dolore che porta gentilezza è quello che ti fa evitare di ferire, che ti fa scegliere parole più dolci e azioni più delicate. È un dolore che non spinge a chiudersi, ma apre verso l'altro, insegnando a non giudicare o a ferire chi si trova nella stessa condizione di fragilità. Chi ha attraversato il dolore con grazia diventa spesso più incline a offrire una mano, a rispondere con calma, a cercare il sorriso dove altri vedrebbero solo difficoltà.
In questo senso, il dolore non è visto come un fardello da sopportare in solitudine, ma come una connessione con gli altri: una modalità di comprensione più profonda, una chiave per entrare in sintonia con le persone, riconoscendo che, in fondo, tutti noi portiamo qualche tipo di ferita. E chi è stato "ferito" e ha scelto di trasformare quella ferita in una fonte di compassione, sarà naturalmente più incline alla gentilezza.
Il dolore che porta gentilezza è quindi un invito a non dimenticare mai la nostra umanità, quella che ci unisce tutti nelle difficoltà e che, attraverso la nostra vulnerabilità, ci rende capaci di vedere e rispondere con più amore.
È vero che spesso si dice che il dolore ci indebolisca, ma, a ben guardare, il dolore può anche essere una forza inaspettata. Sì, ci sfida, ci fa sentire vulnerabili, ci mette di fronte a noi stessi in modi che non avremmo mai scelto. Ma il dolore non è solo un nemico che ci consuma; può anche essere un insegnante che ci spinge a crescere, a riscoprire chi siamo realmente.
Quando attraversiamo il dolore, è naturale sentirci fragili, incapaci di affrontare il mondo come prima. Tuttavia, se accettiamo quella sofferenza senza lasciarci sopraffare, senza ricorrere a meccanismi di difesa che ci isolano o ci rendono cinici, possiamo scoprire che il dolore, pur essendo un’esperienza che ci mette a terra, può anche essere un’opportunità di rinnovamento come Savastascrivecose ci ha insegnato.
Il dolore ha il potere di abbattere la facciata delle certezze e dei controlli che spesso ci costruiamo attorno. Ci fa abbassare la guardia e ci costringe a confrontarci con la nostra vulnerabilità. In questo senso, non indebolisce semplicemente, ma ci rende più consapevoli della nostra umanità. E da questa consapevolezza può nascere una nuova forza. È una forza che non deriva dal voler nascondere o ignorare il dolore, ma dall'imparare a viverlo, a farlo nostro, a trasformarlo in qualcosa che ci permette di comprendere meglio gli altri e di essere più gentili.
Non si tratta tanto di "resistere" al dolore, ma di imparare ad abbracciarlo, di capire che la sofferenza non ci definisce come esseri umani, ma ci arricchisce. In qualche modo, quando accettiamo la nostra fragilità e non la vediamo come una debolezza, quella stessa fragilità diventa un segno di forza. Chi ha sofferto e ha trovato il modo di non lasciarsi annientare da quella sofferenza ha una resilienza che va ben oltre quella che può derivare dalla mera sopravvivenza.
Quindi, se il dolore ci indebolisce in apparenza, sotto la superficie può fortificarci, insegnandoci a vivere con più autenticità, a dare valore alle cose che davvero contano e a relazionarci con gli altri in modo più profondo e compassionevole.
Il dolore, in fondo, è un processo di trasformazione ci costringe a rivedere le nostre priorità e ci dà la possibilità di essere più forti nella nostra vulnerabilità.