30/11/2024
BLACK FRIDAY per tutti!
Oggi un capitolo intero da Fatti non avvenuti, persone mai esistite il nuovo libro di Gianfranco Monaca edito da Dissensi Edizioni
CAPITOLO 3
NORD e SUD
Fatti: una vita fuori, con il mondo a giusta distanza, vale qualche sacrificio e se una famiglia fa dei figli, è giusto che se li tiri su, se riesce. Lo Stato deve mettere a disposizione i servizi ma se uno ne ha la volontà, può anche fare da sé. Le notizie non sono chiare affatto. Un gran caos, questa è l’unica cosa di cui si è tutti certi. Un’assemblea concitata in cui tutti sono d’accordo sul mettersi a disposizione ma in totale disaccordo sul da farsi. Così ci si aggiorna a quando si saprà di più.
Via via irrompevano nella casa sicura Boido Graneris, lunghe teorie di macerie e ululare di donne e file di morti e di bimbi e concitate dichiarazioni di sindaci, pompieri, militari di leva ed emigranti.
Brandelli sanguinanti di un mostruoso scandalo incombente.
Persone: Paolo Boido (figlio di Nina Graneris e Adriano Boido), Schizzo (giovane gatto tigrato), Nina Graneris (femminista a modo suo), Carla (progressista), il capo sezione (uno st***zo che passa il tempo a leggere il giornale), Cesco Vigoni che al lunedì rompe tutti quanti col Milan e le cazzate di Antenna Pl***oy).
Paolo aspettava al solito posto sull’angolo del viale davanti alla Standa. Suo padre lo prelevava alla mezza, dopo essere passato a prendere la Nina alla Municipalizzata, quattro isolati sotto, verso l’ammazzatoio vecchio.
C’era giusto il tempo per filare a casa, ingoiare un boccone e ripartire; un po’ scomodo per la fretta e un po’ costoso per i quattro viaggi, ma valeva la pena farlo: ritrovarsi a casa fra i boschi e le vigne dopo sei- otto minuti di strada tutta buona, era un vantaggio impagabile. Meglio risparmiare su tutto il resto – in realtà non spendevano in nulla che non fosse necessario, come i contadini di una volta – ma soprattutto per il bambino, si vedeva subito la differenza. Paolo era appena salito in macchina che già aveva cominciato a contrattare: «La maestra ha detto che sabato posso portare Schizzo a scuola.» «Siamo matti?» esclamò Adriano Boido. «Se non ci credi guarda qui nero su bianco» ribatté il piccolo. Saltò fuori dalla cartella a zaino un quaderno e venne generosamente sventolato davanti al naso dell’autista, che urlò inviperito pigiando sul freno mentre una scoppola materna ricollocava al suo posto il pericoloso passeggero. «Ci vogliamo ammazzare tutti quanti, qui? Possibile che in otto anni tu non abbia ancora imparato a comportarti civilmente?» Dopo un successivo e più controllato intervento venne in evidenza il chirografo della maestra. “Paolo è stato tanto volenteroso, per cui gli viene accordato il permesso richiesto”. Per deformazione professionale Boido avrebbe preferito leggere chiaramente in che cosa consistesse il permesso richiesto e accordato, ma si limitò a dire che preferibilmente sarebbe stato bello sentire Schizzo su una questione che lo coinvolgeva così direttamente.
Paolo non ebbe un attimo di esitazione e affermò che questo era più che giusto, tanto che lui aveva già sondato l’interessato in proposito e Schizzo gli aveva espresso con entusiasmo il suo gradimento. «Così vede qualcosa anche lui, poverino, ormai è grande abbastanza.» Boido non si era mai occupato di zoologia a livelli tanto sofisticati per sapere quale età fosse richiesta perché un giovane gatto tigrato potesse fare il proprio ingresso in società e lasciò perdere, tanto era inutile fare delle parole. La signora Nina introdusse una nuova tematica: «Hai scritto bene?» e sfogliò il quaderno.
“Ventiquattro novembre millenovecento ottanta. Il terremoto in Italia. Ieri sera alle ore diciannove e trenta da Trieste alla Campania ci sono state scosse di terremoto, però le scosse più forti sono state avvertite in Campania e in Basilicata. Finora i morti sembra che siano centinaia, i feriti migliaia. Palazzi in cemento armato sono crollati e altri si sono addirittura accartocciati. Nel carcere di Poggioreale i detenuti hanno fatto una rivolta e i guardiani hanno dovuto gettare i gas lacrimogeni. Nell’ospedale una donna in reparto maternità si è buttata giù dalla finestra con la bambina ma per fortuna si è rotta solo le gambe. I mezzi di soccorso tardano perché c’è molto caos.”
Il giudizio: “Hai dimostrato di saper lavorare. Cerca di cancellare meno”. Fra un boccone e l’altro sbirciando il televisore, era possibile rendersi conto che il terremoto non era stato roba da scherzarci su: un palazzo di cinque piani rivoltato a capofitto, non permette dubbi. Il linguaggio del mezzobusto non era allarmistico, ma piuttosto cauto: qualche centinaio di morti, comunque. Mentre esprimeva il proprio disgusto per aver bevuto vino torbido: “Ma che vino ho preso? La miseria è quello travasato ieri!” Boido non riusciva a mettere a fuoco qualcosa che non gli stava bene in mente: le immagini non quadrano col testo, oppure la gente non abitava in queste case, o c’è stato un preallarme perché siano così pochi i morti... Era già ora di infilarsi il giaccone e partire. Intanto ebbe il tempo per fare i conti... che continuavano a non tornare: “Qui c’è la manovra della propaganda come dicevo io. Ma questa volta il gioco è scoperto. Stanno freschi se mi chiedono una lira. E così le carte sono rimescolate con buona pace della questione morale”. Alla Municipalizzata, la Nina ci tornava alle tre e mezza e Paolo andava dai vicini a giocare con Daniele fino alle cinque quando tornava suo padre. Non gli andava il tempo pieno; ma a dir vero il tempo pieno non andava né a sua madre né a suo padre. “Uno i figli se li fa li deve anche guardare. Abbiamo fatto la fatica di mettere a posto ’sta casa per dargli solo aria buona e non ha senso farlo stare a scuola tutto il giorno. Impara già abbastanza parolacce al mattino, non è il caso di raddoppiare la dose”. E così via. Era il sopravvivere del patriarcale senso di proprietà – mio figlio è mio – e la sfiducia ben coltivata nei confronti delle istituzioni. E poi il rifiuto cocciuto e irrazionale – non per questo necessariamente irragionevole – a dover dipendere da qualcuno.
Non mancavano le colleghe femministe alla Municipalizzata: “Senti, Nina, se paghi le tasse hai diritto al servizio ben fatto, se non ti va come fanno le scuole partecipa, dillo...” La Nina era cresciuta da sé, indipendente; appena diplomata a fare supplenze sulle montagne pur di non dover chiedere i soldi in casa per comprarsi le calze.
Quella lì cominciava a darle sui nervi. «Io pago le tasse perché mi lascino in pace. Finché possiamo stiamo così. Ho fatto sempre così e continuo a farlo.» «Ma vedi come sei? Tu ragioni come i padroni, e facendo così non aiuti le altre...» «Senti Carla, io quando vado al gabinetto tiro l’acqua così quelli che vengono dopo trovano pulito e se non mi serve la luce la spengo.»
Carla aveva portato via in fretta le sue poderose chiappe progressiste perché cominciava a scivolare sul bagnato.
Era notoriamente fra quelli che non hanno il chiodo fisso del rispetto per la proprietà comune, ma ciò dava soltanto più noia a qualche impiegato anziano. Il capo sezione era uno st***zo che passava il tempo a leggere L’Espresso e Panorama e faceva rispondere che non c’era, figurarsi se si occupava dei cessi e delle luci. Comunque con la Boido-Graneris non faceva il furbo, e cercava di non averci a che fare. Quella volta mise la testa dentro e annunciò che alle quattro e mezza c’era assemblea nel salone per la questione del terremoto. Alla Nina le assemblee andavano bene perché usciva a fare le commissioni. Qualcuno le aveva fatto notare che era pagata per stare lì durante le assemblee e lei aveva risposto che credeva di essere pagata per lavorare seriamente, mentre alle assemblee spesso si facevano solo chiacchiere e allora la discussione era diventata difficile.
Ormai c’era uno stato di non belligeranza fra Nina e i patiti della politica, perché sapevano che comunque si poteva contare su di lei quando c’erano delle urgenze e spesso avevano bisogno di lei per cavarsi dagli imbrogli su questioni del servizio. Aveva occhio per le cose, e risolveva con due quello che un altro non sapeva risolvere con quattro. “Sfido io, con l’esperienza che hai, sempre nello stesso ufficio...” Era un modo per dirle che non aveva ancora fatto carriera. Il fatto è che era intrattabile sul piano delle modifiche di orario. “Non mi spostate le ore perché io ho programmato il tempo sui tempi degli altri in casa mia e se saltano i tempi miei saltano a tutta la famiglia”. I vecchi dicevano che assomigliava alle donne Graneris.
Una prozia era ancora nel ricordo della gente: Madama Graneris aveva tenuto saldamente in mano dal milleottocentosettantasei al millenovecentosette la propria impresa del trasporto a cavalli conto terzi e appalti pubblici e tranvie a cavalli ed era morta come si conveniva a una del suo stampo: nella banca Levi–Montalcini, rompendosi il femore sul pavimento appena lucidato. Come un soldato sul campo. Questa volta però la Nina non uscì per le commissioni. Voleva un po’ sentire, perché non ci capiva niente e la radio non era chiara affatto.
Un gran caos, questo si capiva bene e questo era già da sapersi, con tutti quei “napuli” a fare confusione e poi disorganizzati come sono. Ma ormai erano passate più di venti ore, qualcosa si dovrebbe capire.
Il capo servizio ne sapeva meno degli altri, e fece uno sproloquio che non accennava a finire.
Uno degli addetti ai lavori aspettò che si accendesse una sigaretta e prese il mazzo in mano, anche perché la gente cominciava a guardare l’orologio.
In sostanza non ne sappiamo niente ma certamente le cose stanno molto peggio di come dice la RAI, apriamo una sottoscrizione, come sindacati, e poi chi ha della roba da portare questi sono i recapiti in Provincia. I donatori di sangue sono pregati di presentarsi digiuni all’Avis.
Chi non è ancora donatore, ci sono due centri mobili di raccolta da domani mattina, uno in piazza Alfieri l’altro al quartiere Sottoripa, davanti al vecchio “Cannon d’Oro” per intenderci. Un autista disse che magari lui era disponibile a fare una squadra, se era il caso per andare giù con qualche pullman. Si aprì la discussione sull’andare giù o meno, per adesso aspettiamo, vediamo stasera cosa dice la radio.
Uno diceva che non si devono creare allarmismi, ci sono le autorità che devono dire, se no si finisce di intralciare e si fa più male che bene. Un paio di giovani si misero a gridare che se era per stare coi sindacati loro ci stavano ma se era per le autorità che andassero a prenderselo in quel posto che sono loro che hanno rovinato il Meridione e adesso continuavano a rovinarlo e a rubarci sopra.
L’atmosfera si scaldava perché un altro disse che non era il momento di speculare sulle disgrazie degli altri e che i discorsi di politica andassero a farli da un’altra parte, e se si parlava di politica lui andava subito via, che è questa la rovina dell’Italia che si fa troppa politica e la politica porta la discordia e la gente non ha più voglia di niente. Qualcuno disse che anche la RAI non era lo stesso sul Tigiuno e sul Tigidue e dal Tigidue sembrava che ci fossero delle cose che non funzionavano in alto ma anche a questo qualcun altro rispose che anche lì sono tutti a mangiare nella stessa greppia. Era tempo di andare e Nina Graneris colse l’attimo di uno schiamazzo più arruffato degli altri e se ne andò. Poco per volta la gente cominciò ad alzarsi vociando tutta insieme e il sindacalista a ba***re sul tavolo e alzare la voce da diventare paonazzo per farsi sentire, che non voleva ricapitolare. Il vociare si fece brusio e quello ricapitolò in pace mentre ogni tanto qualcuno faceva domande per farsi spiegare cose già spiegate tre volte e gli altri dicevano basta. Adriano Boido rilegava una raccolta di giornalini con suo figlio, quando si sentì sba***re la porta della Cinquecento della Nina. Aveva già messo al fuoco il brodo per fare la minestrina e tolto il formaggio dal frigo secondo le istruzioni ricevute.
Paolo faceva domande sulla faccenda del terremoto e lui non trovava altro scampo che nel concentrarsi con ostentata ed eccessiva attenzione sul lavoro che stava facendo. Era abbastanza intelligente per capire che non poteva trasferire in quella sede le ciniche cretinerie dei suoi colleghi da cui lui non si era dissociato, anche se non aveva collaborato molto attivamente – ma non trovava le parole per parlare a suo figlio con la stessa seria semplicità con cui questi si rivolgeva a lui.
Si stava accorgendo che non aveva convinzioni e che presto anche suo figlio non ne avrebbe avute, e che in fondo crescere era stato per lui accorgersi che non sono le convinzioni a darti da mangiare. L’arrivo di Nina fu una liberazione. «Accendi un po’, vediamo il Tigidue» disse Nina togliendosi gli stivali. Boido ne avrebbe anche fatto a meno ma Paolo si precipitò.
Si misero a tavola, mentre lunghe teorie di macerie e ululare di donne e file di morti e di bimbi e concitate dichiarazioni di sindaci, pompieri, militari di leva ed emigranti irrompevano nella loro casa sicura. Erano brandelli di uno scandalo mostruoso e la censura non ci poteva far niente. Boido non sapeva come ascoltare queste cose, se con il distacco fatalista del professionista che ha le sue gatte da pelare in ufficio o con la sorda rabbia ancestrale del contadino che paga e odia e trangugia e odia più forte o con la voglia di capire come suo figlio, e credere che è possibile capire, ed è possibile decidere qualcosa dopo che si è capito. Da molto tempo non si era riproposto questi problemi in questi termini forse anche perché le circostanze non lo avevano incalzato allo stesso modo. Gli apparve alla mente per un momento la faccia rosea e il pelo rosso di Cesco Vigoni che al lunedì rompeva tutti quanti col Milan e le cazzate di Antenna Pl***oy. «Hai visto, Boido, stavolta sprofondano tutti ’sti marocchini, peccato che passano dall’altra parte e te li trovano in Australia!» Così aveva detto sghignazzando quando aveva messo la testa in mezzo all’uscio del suo studio. E lo aveva ancora sentito ghignare nella stanza accanto mentre attaccava per l’ennesima volta le barzellette dell’americano che libera Torino dai topi e poi un torinese gli dice se può farlo anche con i terroni. Sbirciò di traverso gli occhi sgranati di Paolo e quelli lucidi della Nina. Sentì il bisogno di mettersi qualcosa in bocca e inghiottire.