17/07/2024
: un’opportunità per i ?
Leggi il dibattito.
Il 12 luglio 2024 è stato pubblicato nella G.U.U.E. il c.d. AI Act, il
Regolamento (UE) 2024/1689 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 giugno 2024 che stabilisce regole armonizzate sull'intelligenza artificiale. Si tratta della prima normativa al mondo che cerca di disciplinare l’utilizzo dell’intelligenza artificiale generativa. I sistemi informatici che utilizzano questa tecnologia avranno un impatto importante in diversi ambiti, ma in particolare nel mondo del lavoro e delle professioni. E non c’è dubbio che l’avranno sulla professione notarile. Ne discutono, con autorevoli opinioni, il Notaio Ugo Bechini, più prudente nell’utilizzo dei sistemi di AI nella professione, e del Notaio Giampaolo Marcoz, che, invece, ha una posizione più aperta sul tema.
Pro
Marcoz Giampaolo
Non correremmo il rischio di essere smentiti, qualora affermassimo che i sistemi informatici che utilizzano la tecnologia definita di “intelligenza artificiale (AI)” avranno un impatto importante sulla futura professione notarile.
L’incertezza nella previsione di questo imminente futuro riguarda solo la portata di tale cambiamento, in quanto non è agevole prevedere se ne sarà interessato il normale svolgimento dell'attività professionale quotidiana, nel suo esercizio e nella conseguente organizzazione dello studio, o se possa persino esserne coinvolta – e magari stravolta - l'essenza stessa della funzione notarile.
L’utilizzo diffuso di sistemi di AI costituisce una evoluzione tecnologica che si differenzia in modo significativo da tutte quelle con cui abbiamo dovuto confrontarci negli ultimi anni e che spesso sembravano poter incidere radicalmente sulla nostra professione.
L’ultima in ordine temporale è stata quella costituita dall’utilizzo, in settori diversi da quello delle transazioni finanziarie, della “blockchain”: la catena di blocchi in grado di registrare l’impronta di molteplici transazioni, di darne quindi data certa, di conservarle senza limiti di tempo e senza rischi di alterazione; il tutto basato su di un sistema democratico diffuso e decentrato: chiunque infatti poteva diventare un “nodo della catena” e registrare la transazione avvenuta direttamente sul suo computer.
Si invocava da più parti la fine della autorità pubblica centrale per la tenuta dei registri.
La diffusione della blockchian avrebbe dovuto travolgere in pochi anni non solo il Notariato, ma qualunque sistema di registrazione di dati gestito dallo Stato; l'intero impianto dei pubblici registri (catasto, conservatoria e registro delle imprese per primi, ovviamente...) ne sarebbe stato inevitabilmente travolto.
Il tempo ha dimostrato che tale sistema non era poi così efficiente, così utile, così sicuro e soprattutto così democratico. La sua applicazione è rimasta, per il momento, principalmente al mondo delle transazioni fintech e non ha coinvolto il mondo della registrazione pubblica dei dati del settore societario e/o immobiliare.
È emerso con chiarezza da una analisi più approfondita ed attenta, infatti, che una archiviazione ancorché sicura di dati, che difetti però di controllo della qualità del dato immesso e soprattutto della certezza e della sicurezza sulla sua provenienza non rappresenti un plusvalore rispetto ai sistemi tradizionali, anzi.
L'AI è diversa: è multiforme e più versatile nelle sue possibili applicazioni. È davvero un'innovazione tecnologica le cui conseguenze posso essere significative non solo per il Notariato e per le professioni intellettuali in generale, ma per l'intero mondo del lavoro.
L'impatto avrà certamente una dimensione globale e non solo nazionale.
È essenziale, prima di tutto, che il Notariato senza ritardo cerchi di comprendere al meglio gli ambiti di applicazione della nuova tecnologia e di intraprendere senza ritardo una riflessione molto ampia e trasparente attraverso i suoi organismi politici nazionali e internazionali; mi riferisco al CNUE (Consiglio dei Notariati Europei del quale sono parte i singoli Paesi membri dell'Unione) e alla UINL (Unione dei Notariati Latini che rappresenta tutti i Notariati del mondo).
Il gruppo di lavoro sulla AI creato in seno alla Commissione informatica del Consiglio nazionale dovrà collaborare strettamente con tali organismi per elaborare una analisi e definire al più presto una strategia comune.
La riflessione non può non prendere le mosse da una prima ed essenziale valutazione relativa all’individuazione di quali saranno gli spazi di attività riservati al Notaio e più in generale al singolo professionista: dobbiamo delineare e definire il perimetro e la funzione dell’azione umana all'interno del quadro applicativo in cui sarà capace di operare l'AI nel prossimo futuro.
È fondamentale chiarire preliminarmente che l'applicazione della tecnologia basata sulla AI non potrà e non dovrà essere illimitata e incontrollata; essa non potrà essere destinata alla integrale sostituzione dell'operato e della funzione umana. Tale scenario apocalittico, infatti, escluderebbe dal mondo del lavoro l'essere umano nella società del futuro; l’impatto sociale, psicologico ed economico sarebbe devastante per l’intero equilibrio mondiale.
Tale ultima riflessione evidenzia come sia fondamentale l’intervento da parte del legislatore europeo e/o nazionale finalizzato a regolare attraverso uno strumento legislativo non già lo sviluppo ma l'ambito di applicazione della AI.
Il primo aspetto appare di pressoché impossibile regolamentazione; la creazione di sistemi sempre più complessi e raffinati di strumenti di AI presenta un carattere di internazionalità che supera i confini dell’Unione europea e che ovviamente si colloca in prevalenza sul territorio americano o cinese. Uno sviluppo tecnologico che quindi non può che essere lasciato ad oggi al libero mercato.
Molto diverso è il tema della diffusione e dell’utilizzo incontrollato all’interno dei confini del vecchio continente.
L’intervento legislativo costituito dall’AI Act emanato dal Parlamento europeo si pone proprio in questa corretta direzione; individuate e catalogate le diverse applicazioni sulla base del loro livello di rischio di violazione dei principali diritti fondamentali dei cittadini, viene emanata una regolamentazione e una limitazione della loro applicazione pratica. Verificata la molteplicità di funzioni della AI, si è intervenuti per vietarne l’utilizzo qualora vi sia il rischio di lesione del diritto alla personalità del singolo, alla sua libera manifestazione della volontà e alla riservatezza della sfera personale. Ne sarebbero un agevole esempio le applicazioni che creano i nostri avatar virtuali che si presentano sul video con le nostre sembianze, la nostra voce e che appaiono indistinguibili dalla nostra immagine reale e che ovviamente non possono essere utilizzate in assenza di un consenso informato del singolo cittadino.
Il legislatore europeo e italiano non può esimersi dal cercare di fornire una regolamentazione preventiva della applicazione della AI, che salvaguardi i diritti e valori dei singoli individui e garantisca soprattutto il rispetto del principio dello stato di diritto.
La sfida è ambiziosa e le difficoltà sono enormi: l'ambito di applicazione dell'intelligenza artificiale è sconfinato e difficilmente immaginabile e contenibile.
Una analisi attenta ed approfondita si impone, a seguito della quale sembra possibile affermare che non solo ci sarà una permanenza di un importante ruolo - e una conseguente essenziale funzione - per il Notaio anche in un sistema permeato dall’utilizzo della AI, ma che essi potranno vedere un futuro di qualità.
La nostra attività presenta, purtroppo, un importante elemento di criticità; essa è costituita, per una parte significativa, dalla gestione di dati che vengono utilizzati nel processo di elaborazione di un atto notarile: vengono estrapolati dai pubblici registri, inseriti nel testo dell’atto, interpretati per il successivo adempimento e archiviati per la conservazione. Tale centralità del dato nello svolgimento di una fase importante della nostra attività professionale ci impone di alzare il livello di attenzione in ordine agli sviluppi pratici della tecnologia basati su AI.
È agevole cogliere infatti come l’intero sistema AI si fondi proprio sulla esistenza e sulla conseguente analisi di una molteplicità di dati digitalmente conservati che vengono con sempre maggiore potenza e velocità di calcolo memorizzati, analizzati, interpretati, scomposti, elaborati per fornire le migliori risposte da offrire al pubblico. L’AI ha bisogno della enorme base dati da cui pesca le proprie informazioni e la qualità delle risposte che essa può fornire è strettamente e imprescindibilmente connessa con la qualità dei dati che utilizza per elaborarle.
È possibile quindi riproporre le riflessioni e le conclusioni cui abbiamo fatto cenno in ordine alla blockchain. È infatti agevole osservare e sottolineare nuovamente come sia essenziale non solo la quantità dei dati offerti all’analisi della AI, ma soprattutto la qualità del dato stesso. Un dato qualitativamente accettabile deve essere elaborato nella sua completezza, deve essere verificato nella sua veridicità e nella corrispondenza alla realtà di cui esso è l’immagine e deve essere certificato nella sua provenienza da parte di una fonte attendibile.
Solo attraverso questi tre momenti di elaborazione, verifica e certificazione è possibile dare vita ad un insieme di dati che rappresenti un valore inestimabile nell’attuale sistema. L’attività umana è essenziale non solo nella genesi della base dati, ma essa è essenziale anche successivamente e deve essere continuativa nel tempo e non può essere dismessa. L’inserimento successivo di dati inaffidabili costituisce una circostanza che inficia e pregiudica l'intera qualità dell’insieme di dati utilizzati per l’elaborazione creata dalla AI per fornire delle risposte che divengono di conseguenza inutili perché insicure nella loro ricostruzione.
Se l’intervento umano rimane essenziale quale custode della qualità del dato, appare importante sottolineare come esso mantenga un carattere di imprescindibilità proprio nel momento iniziale della genesi e della creazione del dato stesso. L'elaborazione del dato appare il momento nel quale l’attività umana del Notaio appare insostituibile, perché essa rappresenta l’essenza stessa della nostra attività di indagine e di adeguamento della volontà del singolo alla normativa inderogabile. Non appare complicato inserire l’intera normativa legislativa, anche unita ad un importante base giurisprudenziale e dottrinale, in un motore di ricerca basato sulla AI. Si crea così uno strumento di valido ausilio che non costituisce che un momento della molto più complessa e articolata attività di creazione ed elaborazione del dato che impone spesso una attenta e approfondita lettura della realtà che si presenta davanti al Notaio nella sua complessità e a volte persino nella sua particolarità ed eccentricità, che può arrivare al limite del bizzarro. Non è possibile tralasciare la complessità della realtà umana e la volontà stessa dell’uomo che spesso non risponde a logiche razionali decifrabili o magari prevedibili da strumenti di AI.
L'attività del Notaio nella interpretazione della volontà umana, nella analisi della realtà sottostante, nella individuazione degli interessi sottesi e quindi nella creazione del dato, nella sua esatta ricostruzione, nella verifica della sua provenienza, appare essenziale e sostituibile.
Ma non solo. Occorre valutare un altro aspetto per il quale appare alquanto complesso sostituire il ruolo del Notaio ed è rappresentato dalla assunzione di responsabilità in ordine alla qualità del dato creato e inserito nell’atto notarile e nei pubblici registri. Tale aspetto non può essere sottovalutato in quanto esso è strettamente connesso con quanto affermato in tema di rispetto e tutela dei diritti fondamentali del cittadino. Ogni attività che incida profondamente sulla sfera personale e patrimoniale dei singoli ha la necessità non solo che qualcuno la compia a regola d’arte, ma anche di qualcuno che controlli quanto è stato fatto e si assuma la responsabilità del risultato e di eventuali errori.
Il Notariato, nella sua funzione e nella sua attività quotidiana, non sembra correre alcun rischio qualora le conclusioni che sono state presentate si dimostrino fondate.
Nonostante tale previsione rassicurante appare evidente e indiscutibile che importanti cambiamenti ci aspettano all’orizzonte e che l’arco temporale di tale orizzonte non è ampio; il cambiamento è imminente o forse è già iniziato.
Dobbiamo quindi essere pronti sia come singoli Notai che come categoria per evitare che tale cambiamento ci colga impreparati, ci impedisca di adottare delle scelte ponderate e valutate. L’organizzazione degli studi subirà certamente un cambiamento epocale, una automazione sempre più invasiva e penetrante; quest’ultima probabilmente potrebbe generare nuove spinte verso fenomeni di associazionismo o al contrario potrebbe condurre verso un’opposta direzione nella quale prevalgano scelte di snellimento degli studi e di un maggiore individualismo.
Il tema della gestione in comune dei dati contenuti nei nostri archivi sarà certamente al centro di potenziali spinte da più parti in quanto, come affermato, l’ampiezza di archivi di qualità rappresenta una risorsa eccezionale per perfezionare sempre i motori di analisi della AI.
A livello istituzionale sarà quanto mai importante affrontare l’impatto della AI sulla categoria nei suoi diversi aspetti quali in particolare una importante attività di educazione dei notai al fine di fornire loro gli strumenti più idonei per comprendere tale evoluzione e proteggersi dallo sviluppo, ma soprattutto addivenire al più presto ad una regolamentazione deontologica dell’utilizzo della AI da parte dei singoli Notai che dovranno in particolare adottare rigorosi protocolli in ordine al rispetto della personalità della prestazione ed infine protocolli informativi per la clientela che deve saper e quali porzioni della attività notarile vengono svolte dal Notaio e quali dalla AI.
Una rivoluzione è in corso. La nostra sopravvivenza non è a rischio, ma dobbiamo governare il cambiamento e, questa volta, non possiamo attenderlo inerti e subirlo.
Contro
Bechini Ugo
In teoria, sarei un convinto sostenitore del vecchio proverbio (danese, secondo alcuni) Fare previsioni è rischioso, soprattutto riguardo al futuro. Avendo azzeccato, a quanto pare, le previsioni sulla diffusione della Blockchain, dovrei limitarmi a ringraziare il Cielo ed astenermi da ulteriori esercizi di futurologia. Un dialogo con l’illustre amico Giampaolo Marcoz è però occasione troppo ghiotta.
Se la Blockchain ha una sua operatività di nicchia ma è soprattutto hype, risonanza mediatica, l’intelligenza artificiale (AI) non è una moda passeggera. Minaccia di divorare le professioni legali? Certamente sì. Si potrebbe chiedere, a questo punto: come possono difendersi, le professioni legali?
Non mi sembra il modo giusto di impostare la questione. Come potevano difendersi i laboratori fotografici di sviluppo e stampa? L’approccio (diciamo così) sostenibile non è la difesa purchessia; si tratta di verificare se le professioni legali mantengano un senso nell’era dell’AI, e (nell’affermativa) come possano adeguarsi al nuovo contesto. La mia risposta è certamente affermativa: le professioni legali mantengono il proprio senso, anche se questo non attenua di una virgola l’importanza del rischio.
Il centro dell’intera questione dell’AI è costituito dai dati che il sistema scandaglia e sui quali si forma, col contributo (diciamo così) di rifinitura di operatori umani. Il software può persino essere open source; sono i dati a fare la differenza. I grandi sistemi come ChatGPT utilizzano la globalità dei dati presenti in Rete, ma questo li rende troppo generici ed inadatti per un uso professionale, troppo vulnerabili dalle cosiddette hallucinations (in italiano: risposte tremendamente sballate). L’imprinting di base di un sistema di AI dipende in larghissima misura dai dati su cui è formato: se si tratta della generalità delle informazioni prelevabili dalla Rete, avremo un mix di materiali di affidabilità variabile, a voler essere generosi, mescolati a vera e propria fiction ed a discorsi da bar della peggior specie. Occorrono dati specializzati.
La soluzione sembra ovvia: ricorrere agli archivi professionali. Atti giudiziari per gli avvocati, rogiti per i notai, pareri per gli uni e per gli altri, e così via. Ma proprio qui sorge il problema. L’AI è in grado di distillare dalla produzione di un professionista il suo know-how, e di riutilizzarlo in casi nuovi. Addestrare un sistema di AI significa, in altri termini, trasferirgli una proprietà intellettuale. Includere un documento nell’addestramento di un sistema di AI non è l’equivalente di una semplice lettura del testo, ma realizza la sua appropriazione da parte del sistema. Audrey Pope (NYT v. OpenAI: The Times’s About-Face, Harvard Law Review, 10 aprile 2024) forse descriverebbe questa mia visione come romantica, e non me ne vergognerei. La questione si pone qui in termini diversi da quelli lamentati dal New York Times nella sua ormai celebre causa contro OpenAI: non si tratta del rischio di una sostanziale riproduzione di contenuti, ma della creazione di contenuti nuovi partendo dal know how del professionista. Una situazione simile, semmai, a quella che fonda l’iniziativa giudiziaria del 24 giugno 2024, a New York e Boston, da parte delle principali case discografiche USA contro le startup Udio e Suno (https://tinyurl.com/2p9mevjb), sistemi di AI che producono pezzi musicali secondo i desideri degli utenti. Si può ad esempio domandare loro un pezzo pop nello stile di Taylor Swift (no, una sonata nello stile di Beethoven ancora non si può ottenere, non esageriamo, anche se negli anni Novanta un falsario in carne ed ossa ingannò il massimo specialista dell’epoca, HC Robbins Landon, ed un rinomato pianista, Paul Badura-Skoda, con sei sonate apocrife di Haydn). Non si assume che i pezzi così realizzati siano veri e propri plagi, ma che siano stati realizzati addestrando l’AI su registrazioni sotto copyright. Difficile immaginare in effetti, solo per fare un esempio, che Suno abbia potuto realizzare Dancing in the Moonlight (https://tinyurl.com/2w5j7e52) senza basarsi sulle incisioni degli Abba. Talvolta gli output di Suno sono imitazioni più sciocche, come questo James Brown https://tinyurl.com/5ajf97sp, o forse appaiono tali a me perché degli Abba non mi importa molto mentre di James Brown ero un passabile fan.
Tornando a noi: non casco dal pero. Ben comprendo che un professionista può decidere, a fronte di una congrua offerta economica, di cedere il suo know how ad un’entità commerciale, per il suo collocamento sul mercato. Non è invece ammissibile che tale know how venga sottratto al professionista d’autorità. Solo per contenere il rischio di scrivere stupidaggini, prendo un esempio dalla mia professione: i singoli atti notarili sono certamente di proprietà dello Stato, ma il mio know how non lo è; non si possono utilizzare quindi i miei atti per allenare sistemi di AI. In Cina questa mia affermazione sarebbe considerata probabilmente priva di senso, e sono anche disposto a concedere che questo fornisce all’Impero di Mezzo, ed ai sistemi totalitari in genere, un vantaggio competitivo in tema di AI. Ma tant’è: ci sono valori non negoziabili, come si suol dire.
Per fare una buona AI, occorre una grande quantità di dati; per fare un’AI specializzata, devono essere anche di buona qualità. I grandi studi professionali probabilmente hanno in casa tutto ciò che loro occorre: gran copia di dati professionali di qualità e spesso anche concentrati su un ventaglio piuttosto ristretto di materia di specifico interesse; risorse economiche per affrontare l’impresa; risorse umane per affinare le prestazioni del sistema. Altrettanto non può dirsi degli studi minori, che non dispongono dei dati e delle risorse di cui avrebbero bisogno, e paradossalmente ne necessitano forse in quantità anche maggiore: i piccoli studi hanno spesso un’attività meno specializzata e focalizzata. E qui si entra davvero in terra incognita. Come i piccoli professionisti raccoglieranno questa sfida? Augurandosi naturalmente che non la subiscano, ma la affrontino in modo consapevole. L’incubo peggiore è che dinanzi ad ogni McDonald’s apra un McLawyer’s ove improbabili professionisti si limitino a interrogare un sistema commerciale di AI, girando acriticamente le risposte ai clienti. A tacer d’altro, avrei paura dell’incremento del contenzioso che potrebbe derivare da un accesso poco filtrato al sistema giudiziario. Un esperto tedesco mi riportava evidenze aneddotiche in tal senso già nell’autunno del 2023. Mi pare un po’ presto, ma se non è ancora accaduto può certamente accadere, e di sicuro è l’esatto contrario di quello di cui avremmo bisogno, e non solo in Italia.
C’è forse spazio, specie nei Paesi di dimensioni più modeste, per iniziative collettive del corpo professionale. La possibilità, cui già accennavo, che operatori commerciali rivendano sistemi di AI allenati sui dati di alcuni professionisti (diciamo così) consenzienti, probabilmente non va demonizzata; si potrebbe persino dire che è solo la naturale evoluzione dei formulari. Credo, più in generale, che in questa fase non si debba scartare alcun modello organizzativo, e lasciare aperta la più ampia competizione, nell’ambito di codici etici condivisi (materia per un altro articolo). Possiamo però anche immaginare spontanee integrazioni orizzontali di professionisti sufficientemente omogenei, che pongano a fattor comune il loro sapere su base di reciprocità. Sarebbe a mio avviso la soluzione più sana, poiché realizzerebbe una volontaria condivisione del know how tra professionisti, senza dispersione all’esterno della categoria professionale e senza fenomeni di free riding, l’utilizzo cioè dei sistemi da parte di soggetti che non hanno contribuito al loro sviluppo. Probabilmente, però, è anche quella di più difficile realizzazione; d’altronde l’associazionismo non è mai un approdo facile in categorie culturalmente (di necessità, direi) individualiste. Condividere un know how è una forma di associazionismo non meno pregnante delle altre; il fatto che la si possa praticare a distanza, senza contatto nel quotidiano, forse è però un vantaggio, a suo modo.
Questo a livello microeconomico, se mi si passa il termine; il livello macro richiede non minore attenzione. È facile immaginare che gli investimenti più copiosi saranno diretti verso le giurisdizioni più importanti. Se, con spesa analoga, si può creare un sistema capace di produrre eccellenti contratti di diritto greco o di diritto dello Stato di New York, non penso che vi siano dubbi sulla scelta. Ne conseguirà però che al cliente saranno prospettati tempi e costi minori per un contratto in salsa americana: per quanti possono scegliere (quasi tutte le parti di contratti commerciali internazionali, per cominciare) la tentazione sarà formidabile. Ciò potrà accadere non solo nei grandi studi, ma anche in quelli più piccoli che si avvarranno di servizi di AI commerciali o condivisi. Credo che il rischio sia evidente: una (ulteriore?) colonizzazione giuridica, che si può tentare di prevenire solo intensificando gli investimenti su sistemi focalizzati sul diritto europeo.
Il fatto che l’AI operi sui dati esistenti ha un altro importante corollario strategico. Nutrendosi del passato, l’AI tende di necessità a perpetuarlo, rivelandosi così una potente forza conservatrice. Non coglieremo mai in fallo l’intelligenza artificiale riscontrando i suoi risultati sui dati (ovvio: li conosce molto meglio di noi!) ma i dati non raccontano tutta la storia. Un buon operatore giuridico non risponde (solo) al passato. Vive immerso in una realtà in evoluzione, di cui seleziona, sintetizza e metabolizza gli input; informa il suo agire (anche) della sua aspirazione a un mondo migliore, un’aspirazione che non si trova nei dati esistenti: abita nel cervello e nel cuore di un essere umano, che vive, incontra persone reali, ha opinioni, emozioni e (non ultimi) sogni. L’evoluzione di un sistema giuridico, di cui gli operatori sono responsabili quanto i legislatori, non può essere affidata ad una macchina.
Ma forse non è neppure necessario spingersi così lontano. L’approccio umano potrebbe rivelarsi indispensabile anche limitandosi all’ambito tecnico/giuridico, prescindendo dalla (pur indispensabile) evoluzione delle tavolozze valoriali. Anni fa il filosofo francese Gaspard Kœnig ha compiuto (letteralmente) un giro del mondo alla ricerca dell’intelligenza artificiale, realizzando decine di interviste con alcuni dei più importanti attori del settore. Uno di loro era Craig Hanson, fondatore del fondo di investimento californiano Next World Capital. Spiegò al filosofo che ogni processo decisionale sarà presto preso in carico da AI, il cui giudizio è più affidabile. L’AI presto selezionerà anche le opportunità di investimento, buttò lì Kœnig. Troppo difficile! fu la risposta immediata e piuttosto piccata di Hanson. Sarà l’ultimo lavoro ad essere automatizzato. Kœnig lo ha battezzato Paradosso di Craig. Potrebbe essere solo un’innocua (persino noiosa e banale) visione egocentrica del mondo o forse, sospetta il filosofo, qualcosa di più interessante: siamo sicuri che gli esperti di IT conoscano davvero i lavori che pensano possano essere facilmente trasferiti all’intelligenza artificiale? Ho avuto occasione di condividere i dubbi di Kœnig. Anni fa, a Roma, stavo co-supervisionando un hackathon su AI e trasferimenti immobiliari, quando due giovani e talentuosi informatici si avvicinarono per dirmi che non riuscivano a capire tutto quell’interesse per i registri immobiliari e gli atti notarili. Basta un tag in Google Maps; i venditori possono assegnare la proprietà all’acquirente modificando il tag con la loro password Google. Sic. Quando qualcuno afferma con sicurezza che avvocati, giudici e notai potranno presto essere sostituiti dall’AI, non è per nulla scontato che abbia ragione. E nessuno dovrebbe accettare di essere etichettato come tecnofobico o neo-luddista solo perché ne vuole discutere.