30/01/2025
UN’EPIGRAFE MEDIEVALE DALL’ABBAZIA DI MONTE SACRO.
Se ci si reca nel caratteristico Centro Visitatori-Museo della Foresta Umbra, ci si imbatte in una particolare epigrafe, in caratteri gotici, presente su una lastra marmorea mutila. Essa rappresenta un reperto di notevole importanza e adesso ne raccontiamo la storia attraverso le parole di Filippo Fiorentino che, nel 1979, ne pubblicò una relazione.
L’epigrafe è in pietra calcarea ed è mutila sul lato destro, quindi il testo non è completo. Le misure sono di 54 cm in lunghezza, di 42 cm in larghezza e con uno spessore di 13 cm. Sul retro, si nota un maschio a forma di rosetta, per fissare la lastra affogata nella malta al muro. La posizione originaria dell’epigrafe è sconosciuta.
Ma andiamo con ordine. Come scrisse il Fiorentino, ogni nuovo ritrovamento pone sempre problemi complessi e non lievi difficoltà di ordine storiografico, quando attraverso l’indagine condotta sulla fonte monumentale si vuole pervenire alla conoscenza di momenti della vicenda umana affatto documentati nel continuo fluire della storia. La tradizione non tramanda se stessa: è l’uomo nella sua ansia di ricerca che scioglie la densità di implicazioni e di rapporti insiti in un documento del passato.
Parole sante. La lastra venne recuperata dal dott. Pietro Lauriola, amministratore delle Foreste Demaniali del Gargano, che pubblicò nel 1979 uno studio dell’epigrafe, su “Archivio Storico Pugliese”, ###II, fasc. I-IV, pp. 253-257. Era in una masseria, dove - sembra paradossale - veniva utilizzata in lavori agricoli, a circa 2 Km di distanza dalle maestose rovine dell’Abbazia di Monte Sacro, tra le quali l’epigrafe fu certamente raccolta.
Il monastero benedettino, in posizione strategica a 874 m s.l.m., a nord di Mattinata, sorge secondo alcune ipotesi sul luogo di un tempio dedicato a Giove Dodoneo. È tradizione, come riportato da D. Salvatore Prencipe, che Lorenzo Maiorano dopo la dedicazione della Sacra Grotta di Monte Sant’Angelo all’Arcangelo Michele, nel 493 d.C., assieme ad altri sette vescovi si sia trasferito sul Monte Dodoneo dove, infranto il culto di Giove, consacrava il nuovo tempio alla SS. Trinità. Alla stessa maniera S. Benedetto a Montecassino avrebbe sostituito a un tempio di Apollo due oratori, primi nuclei della famosa chiesa madre del cenobitismo benedettino.
Ipotesi a parte, cosa ci dice la storia? Innanzitutto, tra il 1222 e il 1223, il Gargano fu investito da tre terremoti di fortissima intensità. L’intero territorio subì gravissimi danni e la città di Siponto fu rasa al suolo. L’imperatore Federico II di Svevia si recò di persona sul posto, per valutare i danni, organizzare i lavori di rimozione delle macerie e per soccorrere la popolazione.
Fu allora che Siponto venne definitivamente abbandonata e pochi anni dopo nacque nelle vicinanze una nuova città, Manfredonia. Nel 1223, anche l’Abbazia della SS. Trinità fu distrutta dal terremoto e l’abate Gregorio, a tre anni dal suo insediamento, dovette occuparsi della ricostruzione. Lo studio dell’alzato e della stratigrafia archeologica dimostrano che alcuni edifici, tra i quali principalmente la chiesa, dovevano aver subito danni ingenti. Ed è proprio l’abate a essere nominato nell’epigrafe.
Come ci dice Sabina Fulloni, nel suo “L’Abbazia dimenticata”, il testo dell’iscrizione si sviluppa su 4 righi con una grandezza dei caratteri che varia tra i 4,5 cm e i 5 cm; il ‘ductus’ delle lettere è raffinato e regolare. Il testo recita:
†QUI[NIS]/ATQ[UE]/QUATERDENIS/LUSTRIS/ [...]
VIRGINIS/A PARTU/CURRENTIBUS/ADDIT [...]
ABBAS/GREGORIUS/DECIM[US]/QUAS/CER [...]
CONDIDIT/ETHEREAS/PRECIB[US]/CUI/CO [...]
Le integrazioni sicure riguardano i termini ‘quinis’, ‘decimus’ e ‘precibus’, perché accompagnati dalle abbreviazioni di troncatura. La croce simboleggia l’invocazione ‘In nomine sanctae et individuae trinitatis’, oppure ‘In nomine domini dei’.
Il Fiorentino ipotizzava che ‘quinis atque quaterdenis lustris’, tradotto in “mille e quarantacinque lustri”, corrispondesse al 1225, anno di fondazione della SS. Trinità da parte di Gregorio. In realtà, lo scioglimento corretto del testo è il seguente: “Quinis lustris atque quaterdenis lustris”. Si ha, quindi, ‘quinis lustris’, che corrispondono a 5 x 5 anni, cioè 25 anni, a cui vanno aggiunti ‘quaterdenis lustris’, ossia 5 x 14 anni, cioè 70 anni, per un totale di 95 anni.
L’ultimo carattere epigrafico del primo rigo, forse una C, una O oppure una Q, potrebbe essere l’iniziale di una congiunzione. Inoltre, nel testo sono inseriti due verbi. Nel secondo rigo si trova la terza persona singolare al presente del verbo ‘addere’, mentre l'ultimo riporta la terza persona singolare di ‘condere’, al passato. Quindi, oltre alla datazione, vengono descritte due azioni, la prima al presente, che si riferisce all’epoca dell’epigrafe stessa e una seconda che definisce una situazione avvenuta in tempi più remoti.
Ne consegue che il testo contiene due soggetti, di cui attualmente soltanto uno è noto, Gregorio. La nuova interpretazione dell’epigrafe, purtroppo frammentaria, è quindi la seguente, come riportato dalla Fulloni:
Novantacinque anni [...]
dal parto della Vergine [...]
Gregorio, decimo abate aggiunge [...]
con preghiere [...] di divino [...]
[che era stato] fondato [da un suo predecessore].
Il significato dell’epigrafe sembra chiaro: Gregorio ricostruisce alcuni edifici del monastero che era stato fondato da un suo predecessore. Probabilmente si trattò di vari interventi, che non vengono elencati al dettaglio. Partendo dalla data sicura del terremoto del 1223 e sottraendo i 95 anni menzionati, si giunge all’anno 1128, periodo quasi corrispondente alla fondazione del grande impianto monastico della SS. Trinità e all’insediamento del suo primo abate Urso, durante le guerre di annessione del continente volute da Ruggero II. Ne consegue che l’epigrafe si riferisce quindi a Urso, fondatore del monastero.
La Fulloni aggiunge, inoltre, che la formulazione di datazione della natività, espressa come parto della Vergine, è inusuale ma rispecchia la complessa figura di Gregorio, mecenate estremamente colto. Anche il carattere calligrafico gotico, che a partire dal XIII secolo soppianterà gradualmente le calligrafie in uso, coincide con il periodo di governo di Gregorio. Un problema irrisolto riguarda il termine del periodo di governo dell’erudito abate, di cui non si conosce l’anno preciso di morte.
La parte mancante dell’epigrafe non è stata mai ritrovata: avrebbe meglio chiarito, forse, le vicende storiche, giuridiche e artistiche dell’abbazia, già nel 1252 in via di decadenza “propter expensarum defectum” e oggi, purtroppo, invasa e soffocata dalla foresta. Come sottolineava già il Fiorentino, ulteriori interventi conservativi vanno promossi per evitare che l’edificio subisca ulteriori danni, in mezzo a una natura impervia, soprattutto per il prezioso portale della chiesa preceduto da un portico a tre arcate a tutto sesto, gli eleganti capitelli in pietra locale con figure animali e motivi a foglie, gli imponenti muri perimetrali, in struttura pseudo-isodomica, che corrono per 344 metri intorno al complesso abbaziale.
La ricerca continua, animata dall’amore smisurato per un territorio che nasconde preziose gemme di storia e vita vissuta.
Archivio di Giovanni BARRELLA.
Fonti:
- Sabina Fulloni, “L’Abbazia dimenticata. La Santissima Trinità sul Gargano tra Normanni e Svevi”, Liguori Editore, 2006.
- Filippo Fiorentino, “Una epigrafe medioevale da Monte Sacro”, in “L’ALTRO GARGANO. LE IMPRONTE DEL TEMPO”, Lucera, 1981.