18/04/2024
Devo scrivere di un film. Perché mi ha emozionato. Perché il cinema sa raccontare. Perdonatemi.
Omero era cieco, ma non era sordo.
Omero sa chi sono i colpevoli del crollo di quei due edifici di rue d’Aubagne ai numeri 63 e 65. Palazzine di quattro, cinque piani venuti giù per abbandono, per fatiscenza, per incuria, per povertà. Quartieri popolari di Marsiglia. ‘Improvvisamente un terribile fracasso’. Allora, novembre del 2018, morirono otto persone. Fra di loro Simona: aveva trent’anni, veniva da Taranto, studiava economia sociale. Poche sere prima, Simona aveva cenato con un suo vicino, il pittore cinquantenne Fabien, e gli aveva detto: ‘Devo andare via da qui, questo palazzo sta marcendo’.
Assieme a Simona sono morti una madre di famiglia originaria delle Comore, due francesi, un tunisino, un algerino, un peruviano.
Glielo dite voi a chi dice che questo mondo è oltre l’etnie, la pelle, le lingue?
Omero era un busto di pietra su una colonna, alto in una piccola piazza, all’angolo di rue d’Aubagne. Venne avvolto dalla polvere e dai detriti di quella rovina. Non vide, ma udì quello che era accaduto.
Contraddizione con il titolo del film, che si chiama: ‘E la festa continua!’, ultimo lavoro di Robert Guédiguian, regista francese, marsigliese nel profondo, come Jean Claude Izzo, uomo del Vieux Port e del Panier (dio mio, quanta nostalgia di un lavoro attorno a Marsiglia di mille anni fa), e di sua moglie Ariane Ascaride, attrice, protagonista, come spesso accade, dei suoi film. Robert è dieci mesi più giovane di me. Ariane è Rosa, infermiere a un passo dalla pensione, stanca, ma non abbastanza da rinunciare ad amare, a lottare, a esserci, a lasciarsi travolgere. Si chiama Rosa perché è esistita una donna come Rosa Luxemburg. E poi appaiono anche Gramsci, Umberto Eco e le linguine alla puttanesca con acciughe e noci. Un boomer come me non può rimanere indifferente. E Omero è lì, come sempre, a ricordarci. A narrarci.
La tragedia di rue d’Aubagne è lo snodo doloroso della partenza di questa storia. C’è bisogno di giustizia a Marsiglia.
C’è un bar, La Petite Armenie, dove vive l’amore per quella terra lontana, l’amore di antichi esuli, dove la speranza non è certo morta. La famiglia di Rosa proviene, come il regista e come chi frequenta quel bar, dalla storia di un genocidio.
Ci sono le meschine piccinerie di una sinistra che nemmeno di fronte a un dramma sociale riesce a trovare una sua unità. Una sinistra narcisista e meschina. Solo Rosa potrebbe salvarla, ma lei è una donna accerchiata dalla stanchezza, ma non per questo meno militante. Rosa può essere il riscatto (e lo sarà) per poi lasciare il testimone a chi viene dopo di lei.
C’è Alice maestra di coro, attivista a fianco di chi cerca un futuro. Fidanzata con il figlio di Rosa. Ah, ecco Sarkis: gestisce quel bar armeno, bar di famiglia. Suo fratello Minas fa il medico con i migranti e vuole partire per il Nagorno-Karabakh perché non si può essere indifferenti. ‘Io non ho sposato un eroe’, gli grida dietro la moglie con in braccio i due figli piccoli. Ma poi sarà lei a dirgli, a incoraggiarlo, se vuoi andare…
E c’è Laëtitia, giovane infermiere, a un passo dall’arrendersi alla fatica dei giorni. Rosa, assieme ad Antonio, suo fratello, tassista comunista, che mai si toglie il cappello, la risolleva, le regala la sua forza, la spinge non a resistere, ma a vivere. Vivere in un ospedale in cui non si riesce a stare dietro a ogni dolore. Ma uno, uno almeno…non sai quanto bene fai, Laëtitia, con quel tuo sorriso africano.
Ed Henri, triste come un libraio che ha lasciato alle spalle la sua libreria, solo con i suoi libri, e con il grumo di ferite non dette con Alice. Questa storia è carta vetrata sulla mia pelle. Già, Henri è il padre di Alice, arrivato a Marsiglia per cercare, tardi, una storia comune con la figlia.
Henri incontra Rosa, che è anche vedova, madre di Sarkis, il fidanzato di Alice. Il destino a volte intreccia bene i suoi fili. Omero non è sordo.
‘Tutto comincia, niente finisce’, dice Rosa.
‘La mia intimità appartiene alle cinciallegre, più che ai compagni’, dice ancora Rosa. E si lascia travolgere. Henri le chiede solo: ‘Spegni la luce, non voglio che tu mi veda nudo’. Immagino che ‘dopo’ l’avranno accesa e si siano guardati. L’amore fuori tempo massimo. L’amore, e basta. A volte accade. A volte…
E poi c’è Marsiglia. Come Trieste, Genova, Napoli, Palermo, Livorno, Venezia nel suo modo. Come solo una città di mare sa essere. E, caro Jean Claude, noi lo sappiamo: ‘La felicità è un pensiero semplice di fronte al mare’. E sappiamo che ci sono i giorni di tempesta, di pioggia, di dolore, di infinita tristezza, di morte. E c’è sempre una felicità che rinasce, ostinata, instancabile come Rosa.
Ha ragione Giovanni Mereghetti: ‘E la festa continua!’, canzone di Yves Montand (anche lui armeno), è un film che ‘fa bene al cuore’. Chiamatemi ingenuo. E allora volevo scriverlo, dopo non aver scritto attorno a capolavori come ‘La zona d’interesse’, ‘Povere creature’, ‘Perfect days’. Il cinema, mamma mia. E se non scrivi, le ‘cose’ esistono? I film esistono se non li racconti? No, io non credo.
E una notte, nell’anniversario, ci si ritrova sotto Omero, che è cieco, ma non sordo. Ed è un coro di voci a ricordare chi ha perduto la vita, a ricordare Simona e i suoi vicini. Una recita in rue d’Aubagne. Diretta da Alice, spinta da Henri, sì, lui, il libraio triste: le finestre, la gente del quartiere, le porte, i megafoni prendono voce. Ricordi quando dicevamo poesie soffiando in tubi di cartone: dove sono finiti? Non mi dite che li abbiamo buttati. Ricostruiamoli, niente finisce. Una recita collettiva. E Omero sa ascoltare.
Sono certo che quella piazza di Marsiglia ora si chiami piazza 5 novembre. E che gli armeni, e non i focesi, abbiano fondato Marsiglia.