26/07/2021
🔵 GABRIELE COPPOLA, IL MEDICO DEI BAMBINI
[ Intervista integrale ]
Mi chiamo Gabriele Coppola, sono nato ad Ercolano, in casa, una volta si nasceva in casa, in Via Fontana 26, il 01/01/1947.
Ho frequentato le scuole Elementari all’istituto Gemma dell’Aquila, la scuola media al Macedonio Melloni a Portici, Ginnasio e Liceo De Bottis in Torre del Greco. Laureato in Medicina e Chirurgia nel 1971 presso L’università Degli Studi di Napoli. Specializzazione in Pediatria nel 1974, specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva nel ‘77, specializzazione in Malattie Infettive nel 1982. Idoneità a Primario di Pediatria conseguita a Roma. Assistente di Pediatria presso gli ospedali Riuniti di Napoli, aiuto di Pediatria e successivamente corresponsabilità della Terapia sub intensiva neo natale fino al 2007, anno di pensionamento dall’ospedale ma non della professione.
Uno dei motivi che mi indussero a seguire pediatria è stato un detto del poeta latino Giovenale “maxima debetur puero reverentia”, massimo il rispetto dovuto al bambino. Un’altra motivazione: i neonati non parlano e quelli di seconda infanzia dicono la verità.
Laureato da poco di più di un mese e non avendo ancora conseguito l’esame di abilitazione all’esercizio professionale, mi recai all’ospedale Cardarelli, mi presentai al Direttore del reparto formulando la mia prima richiesta di voler diventare medico dei bambini. Ricordo precisamente la risposta: “da me nessuno ti caccia via”. Dopo la presentazione dei colleghi mi introdusse nel box lattanti dicendomi che per imparare dovevo partire dal basso. Ricordo ancora il pianto ininterrotto che accompagnò quel primo giorno di “scuola”. Piangevano tutti, chi per fame, chi per il pannolino, chi per dolore. Un po’ scoraggiato dopo una mattinata trascorsa in reparto mi chiedevo come fare a resistere.
Ebbene, sono passati 50 anni e quel pianto tuttora me lo porto addosso.
In ospedale avevo un ingrato compito, ero il referente per i malati malformati. L’anamnesi relativa ai genitori, ai consanguinei e tutto quanto poteva essere di ausilio per la diagnosi e future gravidanze, veniva catalogato ed inviato ad un registro regionale e nazionale. In tanti anni mi è capitato di vedere il ciclope, la sirenetta, il bifronte.
La conclusione è che la mitologia non raccontava favole ma la nostra storia evolutiva. Ricordo un turno di notte dalle 20 alle 8. Sembrava una notte tranquilla ma si accese la luce rossa ad intermittenza e suonò di continuo l’allarme. Mi precipitai in sala parto e non ci volle molto a formulare la diagnosi. Era nato un anencefalo, una malformazione congenita rara, incompatibile con la vita. Amministrai il Battesimo e restai in attesa dell’epilogo fatidico. Si era in epoca prece- dente l’avvento dell’ecografia e della diagnosi prenatale.
Oggi, non nascono più bambini con questo genere di patologie ma mi sovviene un detto latino Hic est locus ubi mors gaudet succurrere vitae; è questo il luogo dove la morte gode nel dare soccorso alla vita.
Dottore, lei ha dedicato la sua vita alla cura dei bambini, cosa rappresentano i bambini nella nostra società?
I bambini non sono clienti ma pazienti che necessitano di cura e assistenza anche se non tutti purtroppo riescono a guarire. Una cosa è guarire una cosa è curare. Il mio compito è quello di curare anche se di bambini leucemici ne ho avuti tanti e purtroppo non tutti ce la fanno. Questo però non significa che non siano curabili: curare è prendersi cura del bambino, assisterlo tanto da rendere grande il medico che si inchina a curare il bambino perché fin quando Dio farà nascerà un bambino significherà che non si è stancato dell’umanità.
Come ha visto mutare, nel corso dei tanti anni di professione, il clima in famiglia e la cura verso i bambini?
Prima si facevano più figli, a tutti veniva riconosciuta la stessa cura, le stesse attenzioni, mentre oggi si fa un solo figlio e si fa fatica ad accudirli come prima.
Questo è dovuto, in parte, al fatto che prima le donne non lavoravano e quindi potevano seguire meglio i bambini e durante le visite domiciliari si palesava una grande cura della casa, oggi, invece, a causa degli impegni lavorativi, ritrovi i bambini accuditi da babysitter. Oggi fortunatamente la donna lavora, è piena di impegni, c’è maggiore attenzione anche alla propria persona, alle proprie relazioni, e questo inevitabilmente comporta dei nuovi equilibri in famiglia. Spesso trovo coppie separate. Noto con dispiacere una sofferenza enorme nei bambini in quanto vivono o con la mamma o con il padre, e purtroppo si ritrovano ingabbiati in contenziosi familiari. Reputo, infatti, che in molte zone del paese non sia ancora maturata l’idea del divorzio, trasformando tutto in un continuo scontro nel quale ha la peggio solo il bambino.
Il sistema di educazione che si impartisce ad un bambino in tenera età, lo ritiene adeguato ad i nostri tempi?
Secondo me si, però serve dare poche regole, precise e chiare, altrimenti si genera solo confusione e poi rifiuto. Quando andavo a scuola, avevo11 anni, la prof. di lettere ci faceva fare una tabella con 16 quadratini, se tu volevi andare in bagno lei ti annullava una casella per cui tu, in un trimestre, se finivi tutte le caselle non potevi andare più in bagno; in conclusione, io in 3 anni di medie non ho mai visto il bagno. Se la penna andava a terra, la nostra professoressa la buttava giù. Oggi mi dicono le maestre che non possono dire nulla altrimenti i bambini vanno subito dal preside. Viene considerata una violenza ma, secondo me, era un modo per abituare ad una disciplina.
Questi due anni di COVID cosa hanno significato e come sono stati affrontati?
C’è stata una cattiva comunicazione proprio da parte degli esperti, infatti, molti sono rimasti con idee confuse però tutto sommato vedo che quasi tutti accettano la vaccinazione.C’è qualcuno che non vaccina, e non solo contro il COVID, ma ha un reticenza verso tutti i vaccini. Io quando ero piccolo si somministrava solo il vaccino per il vaiolo, non esistendone altri, ed è per questo che molti colleghi, miei coetanei, hanno esiti di poliomielite. Resta però una minima parte di popolazione contraria ai vaccini, anche quelli obbligatori, e a queste persone vorrei mostrare alcuni reparti degli ospedali e far comprendere cosa significa la vita; del resto agonia deriva da AGON che dal greco significa lotta, perché si lotta per la vita, ed è per questo che sulle tombe egizie c’è la trachea, perché da lì passa l’aria e l’aria è simbolo della vita.
Lei per la sua professione di medico ha visitato tante case, cosa ci può dire in tal senso?
Sono andato a fare delle visite in alcuni bassi che non sono adibiti a civile abitazione ma ci si abita comunque per necessità. Appena laureato, lavorando al Cardarelli, mi sono ritrovato spesso ad effettuare visite in luoghi in cui d’estate era invivibile. Anche qui, ad Ercolano, ho visto persone ai domiciliari che avrebbero vissuto in maniera più dignitosa nelle carceri che in casa loro. Questo è solo un piccolo raffronto di esperienze che fa ben comprendere quanto la difficoltà abitativa sia elevata.
Se dovesse fare un paragone, da quando ha iniziato ad oggi, dal punto di vista umano, sociale, cosa ci può dire? La scienza è andata avanti e per questo la medicina è più efficace, ma non bisogna limitarsi ad un unico aspetto ed è per questo che penso fortemente che si dovrebbe incrementare la figura degli assistenti sociali, per curare anche l’animo di quei bambini seguiti sotto l’aspetto medico, ma poco sotto quello umano.
Il rapporto di vicinato con le altre famiglie è mutato ri- spetto al passato?
Si è perso perché si pensa più ad un aspetto individualistico, oggi nei grandi condomini non ci si conosce neppure, mentre su internet ci colleghiamo tutti e tralasciamo i collegamenti strettamente personali. Un aspetto positivo di questa grande digitalizzazione è che ci si affida di più all’esperto (per fortuna). Ricordo un episodio in un basso, in uno dei tanti vicoletti delle nostre città, in cui effettuando visita ad un bambino vado a scoprirne la pancia, ungendomi a causa dell’olio messo per tentare una cura casalinga. Adesso questi episodi non sono più diffusi, abbiamo la cultura della scienza e ci affidiamo ad essa.
Dato che ha vissuto la politica quando c’erano ancora i partiti del novecento, partiti strutturati, ritiene che ci sia ancora la cultura della res publica? No. Io penso che prima c’erano più blocchi ideologici e si credeva in qualcosa, giusto o sbagliato che fosse, ma ci si credeva ciecamente. Prima c’era una cultura ideologizzata, gente che veniva mandata a fare scuola di partito, sviluppando una cultura propria. Oggi non c’è, assistiamo ad una politica miope che non crede a nulla, e di quel vecchio retaggio, salvando la pace di qualcuno, non ne vedo più. Io ero amico di tutti, fascisti, comunisti, extracomunitari, e al di là delle idee erano tutti amici miei. Andavamo a giocare a pallone insieme.
I giovani della Ercolano di 50 anni fa era diversa rispetto ad oggi?
Oggi il superfluo è considerato necessario. Io purtroppo, sarà anche un pò di nostalgia, invidio i giovani perché loro hanno più possibilità rispetto a noi, hanno più libertà. Però non è tutto così: prima c’erano regole da seguire. Oggi hanno più libertà ma non ne hanno il controllo. Io credo nei ragazzi, nei giovani, sono più spontanei, ma hanno bisogno di argini. Bisogna darsi un senso, una motivazione, altrimenti perché vivi?!
Lei vive la città quotidianamente, come le appare ai suoi occhi? Io vedo la mancanza di un senso dato alle cose, oggi si preferisce la scuola calcio, manca la direttiva, come un fiume, questi ragazzi, vanno incanalati. Noto una mancanza di un senso alle cose. Ci tengo a dire però che uno strumento fondamentale per crescere resta la cultura.
Ritornando alla sua meravigliosa e lunga esperienza di medico, ci può raccontare un caso, negativo o positivo, che le è rimasto dentro?
Ce ne sono tanti da ricordare. In ospedale ci si ritrova spesso dinanzi alla “lotta”. Quando nascono dei bambini che lottano tra la vita e la morte e tu sei solo con Dio e non sai cosa fare è straziante, non c’è modo di assisterli, sono però fiducioso perché la medicina pediatrica ha fatto passi da gigante.
Cosa le ha insegnato questa professione?
Il più grande insegnamento che ho ricevuto è che la vita è relazione!
La stessa parola esistere, dal latino ex stare, significa stare fuori e nel momento in cui stai fuori crei rapporti, interazioni, legami e con essi si crea l’esistenza e con essa l’estasi che ne deriva.
Questo concetto è riportabile anche in medicina, quando le cellule non si contaminano e restano tutte uguali generano il monomorfismo, leucemia.
Bisogna differenziarsi e relazionarsi, restare chiusi in se non fa crescere.
Sono passati circa 60 minuti, nel frattempo il telefonino del dottore ha squillato con una frequenza costante. Erano mamme di bambini, che chiedevano e informavano dello stato di salute dei loro figli. Lui, il dottor Coppola, imperterrito, concentrato, con tono sempre pacato, rispondeva, consigliando, prescrivendo, ammonendo. Intanto noi guardavamo l’orologio, alle 21,00 c’è la semifinale Italia-Spagna.
E’ stata una meravigliosa esperienza intervistare questo luminare della pediatria, dell’umiltà e dell’umanità. Ma ora l’Italia è l’Italia. Proviamo a stringere....siamo tutti contenti, anche il dottor Coppo- la.
Ci salutiamo, con le dovute prescrizioni anti Covid...Dottore adesso andiamo a vedere la partita. Tifiamo per la nostraNazionale.
Ci risponde: “Si, ma prima di tornare a casa, devo passare a casa di un bambino che non sta rispondendo proprio bene alla terapia. Poi dopo torno a casa a ti fare la nostra Nazionale.”
Forza Azzurri, Buon lavoro Dottore.
Auguri a questo piccolo paziente, affidato in buonissime mani.